Nessuno, come Robert Capa, è riuscito a fermare nelle foto la Morte. L’ esempio più celebre della sua indiscussa maestria nel fissare l’attimo che segna la fine di un’esistenza riassumendone il senso è la foto del miliziano dell’esercito repubblicano colpito a morte da un proiettile sparato dai franchisti, scattata vicino a Cordoba il 5 settembre 1936. La guerra civile spagnola è stato, infatti, il primo dei cinque conflitti seguiti con spericolato coraggio da Capa (gli altri sono stati la seconda guerra sino-giapponese, la seconda guerra mondiale, la guerra arabo-israeliana del 1948 e la prima guerra d’Indocina). Nato il 22 ottobre 1913 a Budapest, Endre Ernő Friedmann, questo il suo vero nome, si avvicinò alla fotografia a Berlino dove trovò anche l’amore, nei panni nell’affascinante fotografa tedesca Gerda Taro. Emigrato in Francia all’avvento del nazismo (era di origini ebree), vi assunse lo pseudonimo di Robert Capa per l’assonanza con il nome del popolare regista statunitense Frank Capra. La guerra civile spagnola gli diede la fama grazie alla foto della morte del miliziano che fece il giro del mondo, ma gli fece perdere Gerda che nel
1937, a soli 27 anni, venne schiacciata per errore da un carro armato “amico” nei pressi di Madrid. «La guerra è un inferno che gli uomini fabbricano da soli», affermò Capa. Ciò, però, non gli impedì di andare al seguito delle truppe americane sui fronti europei più pericolosi della Seconda Guerra Mondiale. A cominciare dallo sbarco in Normandia del 6 giugno 1944. A causa di un errore del tecnico di laboratorio addetto allo sviluppo, la maggior parte delle foto scattate quel giorno ad Omaha Beach andò perduta. Si salvarono solo undici fotogrammi danneggiati, che trasmettono tutta la drammaticità del D-Day nonostante siano “slightly out of focus” (“leggermente fuori fuoco”), come, non a caso, Capa intitolò l’autobiografia pubblicata nel 1947. A proposito delle esperienze vissute durante lo sbarco in Normandia, Capa ebbe a dire: «Il corrispondente di guerra ha in mano la
posta in gioco, cioè la vita, e la può puntare su questo o quel cavallo, oppure rimettersela in tasca all’ultimo minuto. Io sono un giocatore d’azzardo.» Azzardo che nel 1954 gli costò la vita. Capa stava per organizzare un viaggio in Giappone, quando il fotografo di «Life» sul fronte coreano rientrò improvvisamente in patria. I duemila dollari offertigli per trenta giorni di soggiorno in Indocina gli fecero gola, per cui accettò di andarlo a sostituire. Era il 25 maggio quando si imbarcò su una jeep per seguire le operazioni militari del Viet Minh. Alla prima sosta Capa scese e si allontanò di qualche metro, tanto bastò perchè saltasse su una mina antiuomo con le inseparabili Contax e Nikon. L’amico Ernest Hemingway, ricordandone l’ improvvisa morte, disse: «È stato un buon amico e un grande e coraggiosissimo fotografo… Era talmente vivo che uno deve mettercela tutta per pensarlo morto».
Un artista che ha consegnato alla storia attimi di straordinaria drammaticità