L’obiettivo primario del commercio equo e solidale è la lotta allo sfruttamento da parte dei “soggetti forti”, dovuto a varie cause (economiche, politiche o sociali), al fine di garantire ai “soggetti deboli” un trattamento economico e sociale equo e rispettoso. E’ perfettamente conseguente, quindi, che lo scorso sabato 21 novembre, per festeggiare il quarto anniversario dell’apertura del punto vendita aostano della cooperativa “Lo Pan Nër”, in Via De Tillier alcuni jazzisti valdostani suonassero tra alimenti e prodotti di artigianato dei paesi in via di sviluppo. La presunta incertezza dello sbocco commerciale del “prodotto” jazz fa, infatti, sì che venga ignorato dall’industria culturale locale più attenta alla quantità (leggi numero degli spettatori, visibilità mediatica, giri di denaro) che alla qualità. Il risultato è che in Valle il jazz, ignorato dalle rassegne più ricche (con rare eccezioni che
confermano la regola), sopravvive grazie al volontariato dei musicisti e ad occasioni e circuiti alternativi che sicuramente non navigano nell’oro. Salvo, com’è stato a “Lo Pan Nër”, dimostrarsi molto apprezzato dagli spettatori, anche perché ad eseguirlo erano musicisti validissimi come Alberto Faccini (basso), Marco Lavit (chitarra), Donatella Chiabrera (voce) e Luciano De Maio (sax). C’è, poi, da dire che anche il repertorio era di quelli accattivanti, spaziando dai standards come “All of me” al Brasile di “Corcovado” e “Insensatez”, con in più la rivisitazione jazzistica di un brano pop come la “Time after Time” di Cindy Lauper. A quando, dunque, una “musica equa e solidale” con cachet minimi garantiti, contratti di lunga durata (leggi rassegne che abbiano continuità) e, soprattutto, priva dei condizionamenti dei soliti “soggetti forti”?