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VICTOR JARA: un canto che sia stato coraggioso, sarà sempre una canzone nuova.

«Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori! Queste sono le mie ultime parole e ho la certezza che il mio sacrificio non sarà vano. Ho la certezza che, per lo meno, ci sarà una lezione morale che castigherà la vigliaccheria, la codardia e il tradimento

Sono le ultime parole ascoltate per radio di  Salvador Allende, poche ore prima che il presidente del Cile morisse, l’11 settembre 1973, a seguito del golpe delle forze armate guidate dal Generale Augusto Pinochet (“un vero presidente popolare muore ma non s’arrende“, cantò, nella canzone a lui dedicata, Fausto Amodei).

Le circostanze della morte non sono chiare: per molti fu ucciso dai golpisti mentre difendeva il palazzo presidenziale, il suo medico personale affermò, invece, di averlo visto togliersi la vita con un fucile AK-47 donatogli da Fidel Castro. Divenne, in ogni caso, un simbolo della sopraffazione dell’Imperialismo Americano che aveva appoggiato il golpe («Remember Allende in tha days before, before the army came. Please remember Victor Jara, in the Santiago stadium. Es verdad, those Washington bullets again», hanno cantato i “Clash” nel 1980 in “Washington Bullets”).

Quelli della presidenza Allende per il Cile erano stati anni di grande gioia, di amore, di musica, di effervescenza giovanile. La sensazione diffusa era di partecipare alla creazione di una società nuova. Una eco musicale arrivò in Italia attraverso la musica degli “Inti Illimani” . Alcune loro canzoni (La partida, Charagua, El aparecido, El arado, Vientos del pueblo, Luchin) erano state composte da Victor Jara (28/09/1932- 15/09/1973).

Militante del Partido Comunista de Chile e leader del movimento della Nueva Cancion Chilena, Víctor Lidio Jara Martínez fu un’altro simbolo di libertà abbattuto durante il golpe. Non a caso in un articolo del 1969 aveva scritto: “Un artista è un autentico creatore e quindi è per sua natura un rivoluzionario. […] Un artista è un uomo pericoloso quanto un guerrigliero, perché il suo potere di comunicazione è terribile. […] Io sono un lavoratore della chitarra, un cantante popolare. Così spero che mi consideri il popolo cileno, perché quando canto, cerco di riflettere i suoi ideali, le sue gioie, le sue lotte“.

L’11 settembre venne arrestato all’università di Santiago e condotto, con migliaia di studenti e professori, all’Estadio Cile, trasformato in campo di concentramento, dove rimase prigioniero diversi giorni vivendo apocalittiche scene di “fame, freddo, panico, sofferenza” (“Please remember Victor Jara, in the Santiago stadium”, cantarono i Clash).

victor jara

Torturato a lungo (gli vennero spezzate le dita una ad una), il 16 settembre 1973 venne finito con 44 colpi di mitragliatrice. 

Poco prima di morire scrisse questi versi su un pezzo di carta nascosto in una calza da un altro detenuto: “Canto, come mi vieni male quando devo cantare la paura! Paura come quella che vivo, come quella che muoio. Paura di vedermi fra tanti, tanti momenti dell’infinito in cui il silenzio e il grido sono le mete di questo canto. Quello che vedo non l’ho mai visto…Dio è questo il mondo che hai creato, a ciò sono serviti i tuoi sette giorni di lavoro e meraviglia?” 

Aveva 41 anni appena. Dopo averlo ucciso, i militari cileni non solo proibirono la vendita dei suoi dischi, ma ne distrussero le matrici.

Nel Cemeterio General di Santiago ha due tombe. Nella seconda, meno austera della precedente, venne sepolto nel 2009, dopo che i suoi resti erano stati esumati per effettuare un’autopsia. Nel dicembre 2009 venne, così, organizzato un funerale pubblico al quale parteciparono 12mila persone. 

Victor Jara fu ricordato il 13 settembre 2008, all’Espace Populaire di Aosta, con un concerto ideato e condotto da Jean Claude Lévêque, docente di Estetica della facoltà di Scienza della Comunicazione di Torino, ma, anche, grande appassionato di musica sudamericana. «Jara– mi spiegò- è uno dei più grandi musicisti dell’America Latina ed ha un messaggio importante da trasmettere. Lo scopo della serata è anche di provare a far riflettere la gente. Questo tipo di musica è sempre più difficile che si ascolti perché è stata spazzata via dalla fine delle ideologie, ma, anche, di qualunque idea di eguaglianza e di diritti effettivi. Non sono un cantante, ma credo in quel che canto». Tra le canzoni che interpretò ci fu anche l’emblematica “Manifiesto”, vero e proprio manifesto estetico di Jara (e di Lévêque).

MANIFIESTO

Io non canto solo per cantare né perché ho una bella voce,
canto perché la chitarra possiede sentimento e ragione.

Ha un cuore di terra e ali di colomba,
è come acqua benedetta che benedice gioie e dolori.

Quì il mio canto trovò uno scopo, come diceva Violeta (Parra)
chitarra lavoratrice con profumo di primavera.

La mia chitarra non è dei ricchi né sembra esserlo
il mio canto è per le impalcature che cercano di raggiungere le stelle,
perché il canto ha senso quando palpita nelle vene
di chi morirà cantando le verità sincere,

Là, dove tutto giunge e dove tutto ha inizio
un canto che sia stato coraggioso, sarà sempre una canzone nuova.

Victor Jara, Pablo Neruda, Salvador Allende

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