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Cantautori

A Saint-Vincent la neve cade sulle “piccole scene d’addio” di IVANO FOSSATI

E’ la pioggia-canta Ivano Fossati– che deve cadere sulle piccole scene di addio”. Per un grande addio, come quello annunciato  dal sessantenne cantautore genovese, Saint-Vincent ha, invece, riservato la neve, caduta copiosa il 20 dicembre quando Fossati  si è esibito al Palais Saint-Vincent per quello che in America chiamano “farewell tour”. Come dichiarato, infatti, il 2 ottobre durante la trasmissione “Che tempo che fa”, alla fine del tour promozionale del nuovo cd “Decadancing” darà l’addio al mestiere della discografia, fatto di rapporti coi discografici, nuovi dischi, promozioni e tour. Non alla musica, perché «nessun artista può staccarsi dall’amore per la musica

«Mi sono domandato– ha spiegato- se al prossimo album avrei avuto la stessa forza, la stessa lucidità, la stessa passione che ho potuto garantire fino a qui, e mi sono risposto: non lo so. Ho pensato che la mia vita artistica avrebbe potuto diventare semplicemente un rappresentare me stesso all’infinito. Non abbandono le scene per stanchezza, ma per curiosità, perché c’è abbastanza tempo per sperimentare in altre direzioni

Un annuncio che ha provocato reazioni anche violente tra i fan («Traditore!», gli ha gridato uno spettatore del Teatro degli Arcimboldi di Milano dove, il 9 novembre, il tour è iniziato) e qualche insinuazione di speculazione promozionale tra gli altri. A tutti, Fossati sta rispondendo con una serie di concerti poco celebrativi, con molti classici in scaletta e poche parole tra un brano e l’altro. («Parlaci!», gli hanno urlato agli Arcimboldi). Al Palais qualche parola in più l’ha detta, ma, come sempre, a parlare sono state le sue canzoni.

A cominciare da quelle dell’ultimo cd che, fin nel titolo riassume l’atmosfera di questi tempi per niente facili. «”Decadancing”– ha detto- combina la gravità della parola “decadenza” alla leggerezza di “ballando”, suscitando un sorriso amaro. E’ un modo per raccontare con ironia una decadenza che non è solo italiana. Viviamo un’accelerazione tale della vita che ci ha fatto perdere il segno di che cosa sia buono e cosa non lo sia più. Si riuscirà di nuovo ad andare ad una velocità più accettabile, umanamente comprensibile, per poter vedere più nitidamente?» Non a caso il cd, e, forse, la sua carriera, si conclude con la canzone “Tutto questo futuro” (che è anche il titolo dell’autobiografia uscita in contemporanea) in cui canta: “forse questo rimane per la gente come noi: stare vicini, pensare più piano, capirsi con gli occhi e non perdersi.” Una nota di speranza in un cd a tratti disperato che parla di “deserto di democrazia”, dove “tutto è un maledetto imbroglio” e “le parole e le speranze non hanno chance”.

Ma nel concerto c’è stato posto anche per la dolcezza di passati successi e future nostalgie. Due anime rese musicalmente con una band che sul palco ha contrapposto una sezione elettrica, alla sua destra, formata dal figlio Claudio (batteria), Max Gelsi (basso) e Fabrizio Barale (chitarra) ed una più acustica, alla sinistra, formata da Martina Marchiori (violoncello e fisarmonica), Riccardo Galardini (chitarra e mandola) e Pietro Cantarelli (tastiere e direzione musicale). Con loro, per due ore, ha fatto dimenticare, come aveva premesso e promesso, che quelle note non sarebbero più risuonate in concerto. Non da lui, almeno.

“Difficile non è partire contro il vento- ha cantato in “Lindbergh”- ma, casomai, senza un saluto”. E lui, dopo aver concluso con “La costruzione di un amore”, un saluto l’ha fatto. “A tutti quelli che mi hanno voluto bene in questi anni”. Ha anche fatto un discorso sulla speranza. «Ci aggrappiamo alla speranza ritenendola una cosa grande– ha detto- una cosa che arriva dall’alto, per esempio dalla fede. Io, invece, credo che la speranza sia legata alla vita quotidiana, e può essere instillata da fattori apparentemente più piccoli, come la letteratura o il cinema. Molte volte perfino le canzoni spingono verso la speranza. Io sono felice di avere scritto, in tutti questi anni, canzoni che, con parole semplici, spingono verso la speranza.» C’è riuscito anche al Palais, instillando in molti la speranza che ci ripensi. Sì, è vero che “quello che manca al mondo è un poco di silenzio”, non certo, però, quello della sua musica leggera, “così leggera che ci fa sognare”.


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