Si è concluso con le armonie vuote della “Gymnopédie n.1” di Erik Satie il transito terrestre del pittore e scultore aostano Giulio Schiavon. Facevano da colonna sonora ad un filmato di Michelangelo Buffa che è stato proiettato durante il funerale dell’artista, tenutosi il 13 gennaio nel cimitero di Aosta, dopo che la mattina dell’11 un infarto lo aveva stroncato ad appena sessantatrè anni. Lo si è, così, visto intento a lavorare nel suo studio e, di sfuggita, fare uno di quei sorrisi che, come ha detto il cantautore Roberto Contardo, raramente concedeva.
In suo onore Contardo ha concluso la cerimonia cantando “Lettera” di Francesco Guccini che parla del “lento scorrere senza uno scopo di questa cosa… che chiami… vita”. Come può esserlo per chi “starnazza e non vuole volare” e prende la vita “di striscio”. Non certo per Schiavon, che con la sua arte ha volato molto alto e uno scopo ce l’aveva: riuscire a far godere, attraverso le opere d’arte, la natura, così come, attraverso la natura, si può arrivare a godere le opere d’arte. Una specie di testamento artistico che Schiavon aveva affidato a Viviana Rosi, sua compagna per 25 anni, e che la scrittrice aostana, durante la cerimonia, ha letto commossa.
Poi il silenzio ha interrotto la musica che, come un liquido amniotico, aveva avvolto e nutrito la creatività di Schiavon. Oltre che sottofondo abituale del suo studio, era, infatti diventata parte integrante del suo processo creativo.
«Nei primi anni Novanta– mi aveva raccontato l’artista- lavoravo nello studio di Massimo Sacchetti che teneva sempre la radio accesa su RAI 3. Lì ho scoperto Sostakovic, che, con Puccini, è diventato il mio musicista preferito. Specie quello di certa musica da camera nella quale le tonalità dolci sono interrotte da aspre dissonanze.»
In un gioco di rimandi, il clima “parodistico e deformante” delle musiche predilette si era riflesso nelle sue opere, ispirandogli la deliziosa serie di opere-giocattolo incentrate sulla favola musicale “Pierino e il lupo” di Prokof’ev e, nel 1994, ben due mostre: “La belle excentrique” (inaugurata, al Caffè Nazionale di Aosta, da un concerto del duo pianistico Menegotto-Zanardo) e “Medrano”, tutta incentrata sui personaggi del circo (ospitata dalla Galleria Civica di Saint Vincent).
Musicalissime erano anche le opere che, nel novembre 2002, aveva esposto alla “Botteguccia d’Arte” di Aosta. Sia quando mostravano un ritorno al classicismo («..opere come la “Donna con mandolino” o la “Flautista” evocano gli angeli suonatori che popolavano le opere del Barocco bolognese della Controriforma»), sia quando esprimevano un netto rifiuto della cultura Occidentale, sentita, ormai, come “un serpente che si morde la coda”.
La sua creatività, fattasi “meticcia”, si ispirava, quindi, alla Grande Madre Africa producendo totem, maschere e, soprattutto, strumenti musicali. «La passione per gli strumenti musicali– mi confessò- mi è venuta dalla scoperta della musica di Stephan Micus suonata con strumenti etnici di tutto il mondo. Adesso sogno una mostra con strumenti inventati da me che si possano suonare, magari in un grande concerto.»
Alla base c’era, anche in questo caso, la voglia di gioco che ha attraversato tutta l’opera di Schiavon. Gioco apparentemente innocente, ma, in realtà, simbolo di lotta. Lotta contro forze ostili, contro paure e debolezze, contro un mondo con cui aveva un rapporto problematico che si rifletteva nella «sbeffeggiante assurdità» di sculture fatte di materiali poveri come legni vecchi, pezzi di scarto ,assi tarlate e terrecotte. Rimandando, come ha scritto Viviana Rosi, «all’idea che solo il gioco ed il riso rendono possibile l’atto creativo».
«Siamo in un momento di crisi.- mi aveva detto Schiavon- L’Occidente vive, ormai, solo di consumismo e rapporti umani inesistenti, per cui è destinato alla sconfitta. Per sfuggire a questa catastrofe non resta che l’Arte, l’unica cosa in grado di riscattare la nostra disastrosa condizione quotidiana.»
Gli ultimi anni erano stati caratterizzati da alcuni riconoscimenti da parte dell’amministrazione regionale che tra il 24 agosto e il 9 ottobre 2010 gli aveva organizzato l’ultima personale nelle scuderie del Forte di Bard. Nelle foto dell’inaugurazione Schiavon appare minato dal cancro che lo ha consumato per quattro anni e sempre più lontano da “Il rumore del mondo“, che, beffardamente, fu il titolo della mostra.
«E’ stato un grande artista in una realtà provinciale.- ha concluso Viviana Rossi- Un bohemien senza la Rive Gauche.»
Grazie Gaetano, un bell’articolo.
Francesca Schiavon
Grazie Francesca. Giulio è un grande artista che si è intrecciato profondamente con un periodo della mia vita.
bella presentazione davvero
L’ho sempre ammirato molto! e quando passavo per via Martinet sbirciavo spudoratamente dentro al suo laboratorio…..mi mancherà anche se non ho mai avuto l’onore di conoscerlo personalmente….