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Jazz

ARTCHIPEL ORCHESTRA e la splendida Utopia dell’Art Rock di Canterbury

Nel mare magnum delle iniziative musicali di quest’estate valdostana si è materializzato, come una splendida utopia, il musicalissimo arcipelago dell’Artchipel Orchestra che la sera del 1° agosto si è esibita al Teatro Romano di Aosta, per “Aosta Classica”.

Il nome dell’orchestra fonde, infatti, la parola “archipel”, che in francese vuol dire arcipelago, con il suffisso “Art” che evoca l’Art Rock della Scuola di Canterbury, movimento che, tra la fine degli anni Sessanta e i Settanta, vagheggiò una “musica totale” che, partendo dal rock, inglobasse musica d’avanguardia ed elettronica, psichedelia e jazz.

Portata avanti da gruppi come Soft Machine, Gong, Caravan, Henry Cow, Hatfield and the North e National Heath, questa “splendida utopia” infiammò la fantasia di un pubblico di nicchia.

Ne faceva parte anche il batterista milanese Ferdinando Faraò che partendo dall’Art Rock e dal jazz ha, poi, costruito una splendida carriera in costante evoluzione (non a caso un suo cd, “Darwinsuite”, è dedicato al pensiero del naturalista inglese che formulò la teoria dell’evoluzione della specie) che da eccellente accompagnatore lo ha visto trasformarsi in musicista a 360 gradi, capace di progettare e guidare progetti di ampio respiro.

Con l’Artchipel, in particolare, ha voluto far rivivere l’Utopia di Canterbury attraverso arrangiamenti per big band delle musiche di alcuni suoi esponenti di spicco; da Alan Gowen (Gilgamesh e National Health) a Dave Stewart (Hatfield and The North, National Health), da Fred Firth (Art Bears, Henry Cow) a Mike Westbrook, che col movimento ebbe stretti rapporti.

Ne è nato un cd pubblicato a giugno, “Never Odd or Even“, che ospita il chitarrista Phil Miller che ha collaborato con molti musicisti della Scuola di Canterbury. Tra questi Alan Gowen, presente nel cd con due composizioni: “Arriving twice” e “Snining Water”.

Era un suo sogno nel cassetto che fossero eseguite con un organico più ampio– ha raccontato Faraò- Il sogno, in realtà, l’ho realizzato io perché ho avuto la possibilità di avere tra le mani le sue partiture originali. Sono cresciuto con la musica di Canterbury che per me ha qualcosa di magico. Si stacca dal progressive di quegli anni per ricercatezza armonica, spiccato gusto per la melodia ed un’originalità favorita dal non essere entrata in logiche di carattere commerciale“.

Un affetto che trapela anche dall’unica composizione originale del cd, “Big Orange”, una specie di Requiem dedicato da Faraò allo scomparso batterista Pip Pyle, altra figura carismatica del movimento. Si può, pertanto, dire che Faraò abbia artisticamente vinto la scommessa, anche grazie ai 19 bravissimi elementi dell’orchestra. Tra questi c’erano i pianisti Beppe Barbera, aostano d.o.c., e Massimo Giuntoli, che, pur essendo milanese, al Teatro Romano di Aosta è di casa visto che da tre anni vi realizza lo spettacolo di suoni e luci “Théâtre et lumières”.

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