Dopo 15 anni di carriera ed il crescente successo dei primi 5 album, è con “Museica”, pubblicato lo scorso anno, che il cantautore pugliese Michele Salvemini, in arte Caparezza, ha raggiunto la piena maturità artistica e realizzato molti suoi sogni musicali.
«Per la prima volta– ha elencato orgoglioso prima del concerto– ho fatto, per esempio, un concerto al Whisky a Go Go di Hollywood. Ma sono arrivato anche in cima alle classifiche di vendita, ricevendo tre dischi di platino, e ho vinto la Targa Tenco.»
L’11 aprile Caparezza ha, infatti, chiuso il suo “Museica Tour II – The Exibition” al Palais Saint-Vincent, con un concerto organizzato da Opere Buffe con l’associazione InSaintVincent ed il comune di Saint-Vincent.
Il titolo del cd, “Museica”, è frutto di un incrocio tra le parole “musica”, “sei” (è il sesto album dell’artista) e “museo” (dal momento che ogni brano si ispira ad un’opera d’arte per sviluppare un concetto). «E’ un inno alla creatività attraverso l’arte figurativa.- ha spiegato– Il progetto mi ha, così, permesso di colmare una lacuna che avevo. Per documentarmi sono andato in giro per musei in tutta Europa ed ho cominciato ad appassionarmi a certe correnti, come, per esempio il dadaismo, e certi pittori, come Van Gogh. Con il pezzo “Mica Van Gogh” ho voluto “vendicare” il pittore olandese perché mi sembrava paradossale che venisse ricordato come un pazzo che si tagliava un orecchio, quando, in realtà, la sua ricerca di un linguaggio espressivo è stata estremamente lucida.»
Ne è venuto fuori un concerto con “différents niveaux” (diversi livelli) di fruizione, per usare una formula tanto cara alla politica valdostana, in grado, in ogni caso, di mettere d’accordo chi si accontenta del “tunnel del divertimento” e chi, invece, è “troppo politico”. Con l’artista pugliese sempre più “sogno eretico” di una generazione, che, nelle canzoni dei “quadri da un’esposizione” di Museica, può identificarsi nel “bisogno di una prospettiva, come gli affreschi di Giotto”, nella capacità di “prendersi gioco di ogni tua certezza” (dei “ragazzi delle teste di Modì”), nel rimettere in discussione tutto “comunque vada, comunque Dada”. Quegli stessi giovani che vogliono sì spazio, ma senza, per forza, diventare Gagarin.
L’essenza del disco si è respirata in “China Town”, una delle canzoni più belle, dove canta “non è la fede che ha cambiato la mia vita, ma l’inchiostro che guida le mie dita.” «E’ la creatività che ha cambiato la mia vita.- ha concluso Michele- In particolare la musica, che riesce a restituirmi un’immagine edificante dell’uomo che altrimenti non avrei. Senza la creatività sarebbe tutto molto più squallido e noioso. Ed è questo mio amore per la musica e il disordine che cerco di mettere in tutto quello che faccio.»
E’ finita in gloria, con il pubblico del Palais entusiasta per questa “mostra fricchetona e buffa”, coinvolto e travolto da un caleidoscopio di suoni, colori ed immagini da sballo. E, per di più, “senza dietilammide nè mescalina”.