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Il miraggio de L’ORAGE si trasforma in un fantastico viaggio musicale con FRANCESCO DE GREGORI al Palais Saint-Vincent

1 De Gregori - L'Orage (by Gaetano Lo Presti) IMG_1513

Il 2 di febbraio dell’anno di grazia 2013 potrebbe essere stato un giorno storico. Per la musica valdostana, per una delle sue migliori espressioni, L’Orage, ma anche, perchè no?, per il Principe Francesco De Gregori, che con la band valdostana ha tenuto, al Palais Saint-Vincent, un concerto ad alto contenuto emozionale.

Come nelle tappe migliori della sua carriera, il cantautore romano ha, infatti, accettato di mettersi in gioco, affidando i gioielli di famiglia, le sue canzoni, ad una band semisconosciuta della periferia nord ovest italiana. Un miraggio intravisto da Alberto Visconti, cantante de L’Orage, dopo averlo conosciuto, nel giugno 2012, dietro le quinte della rassegna Musicultura (vinta dai valdostani), e, trasformatosi, grazie alla disponibilità del Principe, in un viaggio comune alla scoperta di lati inesplorati del suo repertorio.

«Ci ha uniti- ha tenuto a precisare De Gregori- una formula che non è velleitaria nè studiata a tavolino, ma nasce dalla voglia di fare musica e confrontarsi. La canzone è materiale duttile che va rivisitato di continuo, sarebbe un peccato non farlo.»

Il risultato è stato entusiasmante. Anche per il Principe, che, alla fine del concerto, sul palco non la finiva di stringere le mani ed abbracciare quei sette giovani che si erano immersi nel suo repertorio “con un affetto che mi ha conquistato” ma, anche, con la personalità di un sound in cui la nuova musica etnica europea (evidente nell’utilizzo di strumenti come l’organetto, la ghironda e la cornamusa) si apre a influenze che spaziano dal rock all’improvvisazione polifonica del jazz di New Orleans.

Suono che, dopo una mezz’ora di pezzi vecchi e nuovi de L’Orage, ha rivestito, senza soluzione di continuità, le canzoni di De Gregori. “Andiamo avanti, tranquillamente”, ha accennato Vincent Boniface attaccando le note de “I muscoli del capitano” in cui si è materializzato sul palco De Gregori. Scenicamente un po’ spaesato, privo com’era di alcun strumento e degli abituali punti di riferimento musicali, ma vocalmente perfetto a personalizzare le sue canzoni.

Da quelle più conosciute (“Alice”) a quelle dimenticate (“Arlecchino”), da quelle d’antan (“Quattro cani”) a quelle più recenti (“Belle Epoque”). E, ancora, “L’agnello di Dio”, “Il panorama di Betlemme”, “Il guanto”, “I matti”, “Il bandito e il campione” e “Renoir” (in cui si è ritagliato uno spazio con l’armonica a bocca).

Un percorso ragionato in quarant’anni di repertorio che ha, però, avuto l’urgenza e l’energia della scoperta. Chi avrebbe mai pensato, per esempio, che, con echi di rigaudon e monferrina, si sarebbe potuto ballare sulle note de “L’aggettivo mitico”?

«De Gregori pareva un bimbo portato dai marziani a fare un giro sulla loro astronave», ha commentato il cantautore torinese Giuliano Contardo, presente, con tantissimi altri musicisti valdostani e non, in un Palais stracolmo.

Ciliegina finale l’investitura ufficiale dell’entrata di Alberto Visconti nel ristretto club dei cantautori italiani di rango con De Gregori a interpretare la sua “La teoria del veggente”. «Io conosco una condizione dell’anima che si rivela efficace nella produzione dell’arte”. Teoria di Arthur Rimbaud, versi e musica di Visconti e una condizione che per tutta la serata il Principe ha condiviso con L’Orage.




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