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Anniversari Musica valdostana SOCIETA' Valle d'Aosta

La “celebrazione” dell’ALLUVIONE del 2000 in Valle d’Aosta tra memoria e retorica

Una decina di bare, portate dalla Dora in piena, incagliatesi sotto il ponte di Chambave. Questa foto, che scattai il 15 ottobre 2000, simbolizza al meglio l’alluvione che ha duramente colpito la Valle d’Aosta tra il 14 ed il 16 ottobre del 2000. Diciassette morti, danni per mille miliardi e settemila sfollati furono il terribile bilancio. Ma ad essere sconvolta fu tutta l’Italia Nord-occidentale, tanto che anche in Piemonte si contarono 4 morti.

A dieci anni di distanza la Valle ha pensato di “celebrare” la catastrofe per ricordare come la società valdostana abbia saputo rispondere all’emergenza in modo solidale ed efficiente” 
e “concorrere a formare una cultura del rischio”. Sono, così, stati stanziati ben 128.150 euro per organizzare varie manifestazioni– dibattiti, conferenze, mostre e spettacoli- legate da un titolo, “Valluvione”, che si è attirato aspre critiche per avere “imbellettato” la tragedia, “banalizzando la storia” e non aiutando “a rendere onore a chi ha vissuto in prima persona gli eventi dell’ottobre del 2000” (http://www.puntorossonero.info/2010/09/16/valluvione-e-abruzzomoto). In effetti la memoria culturale ha il suo fondamento nella commemorazione dei defunti, mentre in “Valluvione” più che il ricordo dei morti, ad essere protagonisti sono parsi i vivi con la continua sottolineatura dell’efficienza della ricostruzione, che indubbiamente c’è stata, e dei potenti mezzi a disposizione dell’attuale protezione civile. Inevitabile la caduta in quella retorica che, come insegnano gli specialisti, è la peggiore nemica della Storia perché finisce, ineluttabilmente, per illuminare solo alcuni aspetti della memoria oscurandone altri.

Sono, per esempio, caduti nell’oblio i risvolti giudiziari per “omicidio plurimo colposo” dei geologi o gli episodi di corruzione avvenuti durante la ricostruzione. Niente di nuovo sotto il sole, come sosteneva Ralph Waldo Emerson la Storia è scritta da chi governa per risucchiare il vecchio scomodo in quello che lui chiamava “l’inevitabile abisso che la creazione del nuovo apre”. Per altri versi nel mare magnum di iniziative ci si è dimenticati di aspetti forse minori, ma che al momento ebbero un’importante, salutare, risonanza emotiva. E’ il caso della Musica, dalla quale vennero i primi segnali di rinascita. Ironia della sorte furono proprio quei tamburi che in Africa evocano, a volte, la pioggia, ad esorcizzare, in Valle l’alluvione. Fin dal 18 ottobre, infatti, i percussionisti dell’associazione “Tamtando” cominciarono ad animare i pomeriggi dei bambini delle zone alluvionate sfollati nella caserma “Testafochi” di Aosta. Quasi per nemesi storica, è stata, poi, la musica a rimandare un’immagine meno edulcorata dell’evento con la canzone dei “Los Bastardos”  “Fino in fondo” che mise il dito sull’iniziale sottovalutazione del pericolo (“telegiornale rassicura, non c’è da allarmarsi, niente di preoccupante).


FINO IN FONDO di Lothar Benso Nieddu-Erik Noro (2002)

Pioggerellina di fine estate

telegiornale rassicura

non c’è da allarmarsi

niente di preoccupante

Ma

stranamente insistente

quest’acqua filtra dappertutto

arriva ora fino sotto al letto

trasuda dal muro

(perché?)

e il mio piede dolcemente

sprofonda nel fango

Non ho più tempo

non c’è più tempo

per aspettarti

Prendi la corda o mi butto giù

Muoio con te

Scappa via

E’ notte fonda e più nessuno arriverà

un rumore sordo preannuncia

E sassi e melma sopraggiungeranno!

Forse è meglio andar via

Forse Maria i tuoi figli è meglio salvare

Prendi quello che rimane e scappa

Prendi il meno possibile e scappa

Scappa

Non ho più tempo

non c’è più tempo

per aspettarti

Prendi la corda o mi butto giù

Muoio con te

Scappa via

Esce il torrente e valanga di fango

La stanza travolgerà

Evacuare le case o questo paesino

La notte non passerà

Forse è meglio andar via

Forse Maria i tuoi figli è meglio salvare

Prendi quello che rimane va via

Forse Maria, forse è meglio andar via

E allora scappa via.


4 commenti

  1. La “celebrazione” ha mantenuto tutte le sue promesse. Tonnellate di retorica e nessuna autocritica. Del resto gli attori di allora sono gli stessi di oggi e perchè mai avrebbero dovuto complicarsi la vita? Molto meglio illudersi e illudere che siamo i migliori, i più bravi, uomini eccezionali delle severe montagne ecc.ecc.
    Conservo il ricordo di un Porta a Porta in cui Vespa “inchiodò” in diretta i nostri vertici alle loro responsabilità, proprio di fronte alle rovine di Pollein. Quella sera il loro aspetto non era bello e certo non si aspettavano di essere presi a calci nei denti da un giornalista che non era il loro zerbino come accade sovente in valle.
    Aspettiamo la prossima alluvione e poi vediamo!

  2. odio la retorica e la retorica della retorica.
    penso che l’unico modo per sopravvivere alle incombenze e catastrofi che portroppo gli eventi ci impongono, sia nel nostro spirito di responsabilità.
    chi è responsabile di una data cosa non deve poter sfuggire, appunto, dalla sua responsabilità.
    la protezione civile ha un compito.
    la classe dirigente ne ha un altro.
    e tutti, anche noi nel nostro “piccolo” e nelle azioni di tutti i giorni ne abbiamo. dobbiamo solo comportarci di conseguenza.
    se succede una cosa che non doveva succedere e che, “si poteva evitare”, allora la responsabilità deve sorgere.
    questo sembra banale, ma non accade quasi mai, per colpa delle complicità che sono così diffuse da creare un “sistema”.
    finché questo non cambierà, dovremo smettere di stipirci e di “sconvolgerci” di fronte a “ciò che può succedere”.

    ciao

    1. Grazie Lorenzo,
      la tua mail vale più di tutte le costose “celebrazioni” di cui ho scritto.
      Come ben sai, però, responsabilità è la cosa più difficile da raggiungere in una società che propone modelli di irresponsabilità ai massimi livelli
      E, poi, subentrano spesso messaggi neanche tanto subliminali per cui “protezione civile” diventa una mamma tecnologica e iperprotettiva alla quale abbandonarsi passivamente e “nuova coscienza del rischio” evoca quella PAURA sulla quale conta molto chi governa

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