Il volto è il teatro dell’uomo. Sia quando è nudo, che, a maggior ragione, quando mascherato. Sulle maschere ha, per esempio, puntato la Commedia dell’Arte per svelare, amplificandoli, vizi e virtù dell’essere umano.
A quella tradizione si rifà “La grande fuga”, “tragicommedia per mezze maschere” che l’aostana Selene Framarin ed il sardo Cristian Flore hanno rappresentato mercoledì 1° aprile al MAV (Museo di Artigianato Valdostano di Tradizione) di Fénis.
Lei è una bravissima clarinettista (nel 2012 è stata diretta perfino da Pierre Boulez) che da alcuni anni studia l’aspetto corporeo del fare musica, convinta che “musica e movimento sono la stessa cosa”. Una ricerca che l’ha portata a frequentare Hèlikos, la Scuola Internazionale di Creazione Teatrale di Firenze, che, sfruttando la Pedagogia del Movimento Teatrale di Jacques Lecoq, insegna le possibilità espressive del teatro fisico.
Lì ha conosciuto Cristian Flore, avviando con lui il progetto “Bestiaire”, ricerca sulla “bestia” che c’è nell’essere umano, di cui “La grande fuga” è il primo frutto.
Le maschere usate (costruite da Matteo Destro, David Poznanter e dalla stessa Selene) servono ad amplificare il gioco del corpo, e, entrando in risonanza con la materia, tratteggiare i personaggi di questa commedia musicale (perché i sentimenti, “quando diventano troppo grandi”, si trasfigurano in motivi popolari klezmer suonati con clarinetto e melodica) ambientata negli anni Cinquanta, nel sud Italia.
Protagonisti sono due anziani, Battista e Cesira, che, rimasti vedovi, si innamorano fuggendo da una rete di costrizioni sociali, culturali e religiose. Quanto, però, potrà durare l’estasi della libertà, prima che ricadano in una gabbia da cui, nuovamente, fuggire? Lo spettacolo getta anche una luce su un mondo trascurato come quello degli anziani, interrogandosi su quali sentimenti, desideri e sogni siano concessi in quell’età. “Sì nu vecchio”, dice, per esempio, l’anziana Cesira al coetaneo Battista per sbollirne gli ardenti spiriti. “Ma come vecchio?– risponde lui- A me me batte ancora ‘o core.” La rappresentazione di Fénis segue quelle di Sassari e Firenze e precede quella di Nîmes, in Francia.