fbpx
Medicina SOCIETA'

Brutta bestia l’INVIDIA

Invidia viene da in-videre, che, in latino, significa non vedere 
l’altro. O vederlo di “mal-occhio”, fino a volerne la sparizione. Non a caso Dante, per la legge del contrappasso, nella “Divina Commedia” colloca gli invidiosi in Purgatorio con le palpebre cucite con fil di ferro. Li descrive, inoltre, appoggiati uno sull’altro e, a causa del loro livore, confusi con il grigio delle rocce. L’invidia è una “carie dell’anima” che divora chi lo nutre come le fiamme che avvolgono la donna anziana con cui Giotto ha raffigurato questo vizio capitale nella Cappella degli Scrovegni. E’ un sentimento sadomasochistico, che soffre e fa soffrire, come il serpente che, nell’affresco patavino, esce dalla bocca della donna per ritorcersi contro i suoi occhi.

L’invidia è nata e morirà con gli uomini, ma  in questi anni, caratterizzati da feroce competitività e, quindi, insofferenza verso i propri limiti, da vizio capitale è diventata una diffusissima passione sociale. Una passione triste, come recitava il sottotitolo della conferenza che la sera del 17 settembre è stata organizzata, dall’Ordine degli Psicologi della Valle d’Aosta, in un salone regionale strapieno. A parlarne è stato il monaco Luciano Manicardi, Vice Priore della Comunità di Bose. «L’invidia– ha detto- nasce da un senso di mancanza ed inferiorità che provoca frustrazione e aggressività verso l’invidiato. Nasce in un contesto di prossimità ed è una passione livellatrice, perché non sopporta che l’altro emerga. Per dirla con Cartesio: l’invidioso tutto può perdonare all’altro tranne che ci sia e sia quel che sia. D’altra parte è anche un vizio che si deve mascherare, perché il confessarlo sarebbe un’ammissione d’inferiorità.»

L’invidia, in realtà, non era inclusa negli originari otto vizi capitali (gola, lussuria, avarizia, ira, tristezza, accidia, vanagloria e superbia) descritti dall’eremita Evagrio Pontico e dal suo discepolo Giovanni Cassiano. Fu Gregorio Magno ad introdurla, nel quinto secolo dopo Cristo, nei sette vizi capitali che sarebbero all’origine di tutti mali. Una modifica in corso d’opera alla quale non è, probabilmente, estranea l’eguaglianza tra tutti gli uomini professata dalla Chiesa, che, dimostrandosi alla prova dei fatti utopica, è fonte inesauribile d’invidia. «Una possibile soluzione– ha concluso Manicardi- può venire dalla trasformazione dell’impulso invidioso, imparando a desiderare il possibile e ad accettare i propri limiti. In questo modo si attenua la tendenza a sentirsi sminuiti o, addirittura, minacciati dal confronto con gli altri. Ma, come recita un proverbio, il miglior scudo contro l’invidia è la virtù: si deve, infatti, cercare di ristabilire la capacità, che l’invidia mina, di amare ed essere riconoscenti. Anche perché, come sosteneva Goethe, contro una grande superiorità dell’altro non c’è mezzo di difesa che l’amore.»                                       

1 comment

  1. non so cosa significhi invidia, forse per questo riesco ad affrontare la vita serenamente, penso che tutti dovrebbero fare come me, baci donatella

Rispondi

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: