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Il FABRIZIO DE ANDRE’ provocatorio di STEFANO GIACCONE

1 Giaccone IMG_4044

1 Giaccone IMG_4045La morte è un punto o una virgola?”, si chiedeva Valeriu ButulescuNel caso di Fabrizio De André  l’11 gennaio 1999 si è trasformato, almeno per gran parte del suo pubblico, dei colleghi e della critica, in un punto. Definitivo ed invalicabile, che ha finito per cristallizzarlo in un’immagine edulcorata ed asettica.

«Adesso sembra quasi una vacca sacra, per cui le sue canzoni sembrano intoccabili.– spiega il cantautore torinese Stefano Giaccone- Da morto è stato oggetto di un’opera di rimozione culturale che lo ha fatto diventare un santino buono per tutti gli usi. Funzionale soprattutto  alla borghesia italiana che assiste alla tv a Lampedusa, al G8 di Genova, al bungabunga, alla trattativa mafia/stato, e attraverso i suoi versi si emancipa dalla sua triste e violenta oscenità.»

Fabrizio-De-André-Frangiflutti-Santa-Maria-Navarrese-OgAd uno come Giaccone la cosa non può certamente andare giù. E’, infatti, “uno dei più rilevanti musicisti della scena indipendente italiana” (definizione su cui concordano varie storie del rock italiano), con militanze nei Franti (band considerata “forse il più importante gruppo underground degli anni Ottanta in Italia”) e, tra il 1990 ed il 1993, nei Kina (coi quali ha pure fondato l’etichetta indipendente BluBus).

«Sono punk, non “un” punk.- precisa Giaccone- Perché il punk non è un genere musicale, ma un’attitudine e un modo di vivere che oggi non sono assolutamente di moda. Andando in direzione ostinata e contraria, anche De André le sue cose le ha dette. Per cui più che fare delle cover malfatte, ho cercato di far sentire i riflessi che De Andrè ha avuto sulla mia musica

E’ quello che è successo il 12 novembre scorso ad Arvier (AO), dove Giaccone era stato chiamato, per la rassegna “Sono solo canzonette”, a dare, con parole e musica, una sua visione del cantautore genovese.

indirezione_a5Visione provocatoria “perché per me De André è, innanzitutto, valido come provocatore”. Ecco, quindi, che ha parlato del De André borghese che nelle sue canzoni ha finito per salvare  la sua classe di appartenenza, salvandosi sua volta. O del De André intimamente cristiano che ripeteva che il più grande rivoluzionario è stato Gesu Cristo fattosi uomo, e che in “Smisurata preghiera”, sfiduciato dagli uomini massificati, si rivolge al  Signore per raccomandargli “questi servi disobbedienti alle leggi del branco…che dopo tanto sbandare è appena giusto che la fortuna li aiuti.”

Giaccone ha, inoltre, diviso la produzione discografica di De André in tre stagioni: “L’età della pietà e della redenzione”(conclusa da due capolavori come “La buona Novella e “Non all’amore né al denaro”), “L’età della poesia e della Storia” (in cui incontrò i giovani De Gregori e Bubola) e, infine, “L’età del ritorno ad Itaca, della pulizia e della radice” in cui divenne il suono dell’Uomo Globale, che torna alla lingua materna, al folk più primitivo.

«Il De André che inventa la world music degli ultimi tre album non ha eguali a livello mondiale.- ha concluso Giaccone- Peccato che fuori dall’Italia non sia conosciuto. Io ho curato alcune sue inedite versioni in inglese di “La ballata dell’amore perduto”, “Quando verranno a chiederti del nostro amore” e “La ballata dell’eroe”. Non semplici traduzioni, quanto, piuttosto, di versioni in lingua inglese, che, spero, servano a farlo conoscere anche all’estero


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