E’ stato un Natale 2019 “ad alta definizione” quello del Coro Penne Nere di Aosta. La trentunesima edizione del suo concerto natalizio, svoltosi la sera del 20 dicembre in un Teatro Giacosa di Aosta esaurito, è stata, infatti, caratterizzata dalla focalizzazione su alcune parole chiave dei canti attraverso letture fatte da alcuni coristi. Spaziando dal “Dizionario del diavolo” di Ambrose Bierce al “Manuale delle scienze naturali e della fauna della Valle d’Aosta”.
«Andiamo un po’ in controtendenza con gli stereotipi del Natale,- ha spiegato Pascal Roveyaz– ma bisogna che le parole tornino ad avere un loro peso.» L’idea è stata proprio di questo trentottenne architetto prestato all’insegnamento della Storia dell’Arte. Entrato nel coro dal 2006, si è distinto per la vivacità delle sue presentazioni. Da due anni poi, a Natale, cura per le Penne Nere la regia di veri e propri spettacoli che hanno abbattuto le barriere tra i generi musicali, ospitando lo scorso anno L’Orage e quest’anno i Tamtando.
Il 20 dicembre è stato proprio il gruppo guidato da Marco Giovinazzo a condividere con il coro il palco del Teatro Giacosa, addobbato da Marco Marzini con un centinaio di ipnotiche strisce bianche, che scendevano dal soffitto, a mò di stelle filanti o, come ha spiegato Pascal, scie luminose nelle foto scattate con diaframma aperto e tempi di esposizione lunghi.Al suo storico direttore artistico, Marco Giovinazzo, Pascal ha chiesto di spiegare il significato di parole come “Africa”, di cui il gruppo conosce bene i ritmi, ma, anche, i problemi. O “Mugan”, numero venti in lingua dioula, che è il titolo dell’ultimo cd che nel 2019 ha festeggiato i loro 20 anni di vita. O, ancora, progettoAniké (con cui i Tamtando hanno stabilito una cooperazione culturale con il Burkina Faso) che è stato il destinatario della raccolta benefica associata ad un concerto che, non a caso, è stato intitolato “Voci [e percussioni] all’unisono [e a tempo], in favore del progettoAniké”. Nella parte finale due gruppi hanno suonato insieme alcuni set di percussioni e cantato “VamuvambaToubab”, brano tratto proprio da Mugan.
Momenti tutti animati dal vulcanico Pascal, che, nero a metà (avendo scoperto le gambe annerite), si è trasformato in un griot sui generis, che, percuotendo un tamburo, ha declamato istrionicamente proverbi africani. Il set iniziale delle Penne Nere è iniziato con due canti natalizi come il “Gaudete” di un anonimo del XVI secolo e “Notte santa” di Bepi De Marzi. E’ seguita “La regina Tresenga”, del pioniere della musica elettronica e disco Giorgio Moroder, dedicato a Marilena Alberti, la “Sportelli in gonnella”, com’era chiamata per il piglio direttoriale, che dopo otto anni, giusto un anno fa, ha ceduto la testa del coro a Fabrizio Engaz. La mano del giovane direttore si è evidenziata in canti come “Chante mon Cœur pays aime” di Pierre Kaelin, “L’amour de moy” di un anonimo del XV secolo, “In be momen” di Corrado Margutti e “Silenzio di neve” di Marco Maiero. La parola “paradosso” ha introdotto, infine, “Una tomba per Alice” di Mario Marelli, dedicato ad piccola zingara che vive ai bordi della società, simbolo del paradosso di chi pensa che vivere senza radici sia il massimo della libertà per poi scontrarsi con popoli stanziali che rimarcano i confini.