Nella fredda e montagnosa Valle d’Aosta c’è qualcuno che, invece, immagina di muoversi nella linea di confine tra le sabbie infuocate dei deserti dell’Arizona e l’allegria triste di certe fieste messicane a base di tequila e salse piccanti. Trattasi del cantautore aostano Claudio Mauro, in arte Shammer, seguace di quel “desert lounge” che, sulle orme delle evocative colonne sonore degli spaghetti western di Morricone, ha attualmente i suoi massimi esponenti nei “Calexico” . Il loro nome deriva da una cittadina del confine californiano il cui nome deriva dalla fusione di “California” e “Mexico”, ma il gruppo è, invece, di Tucson, Arizona (legame reso celebre dai Beatles in “Get back”). Non è, quindi, un caso che si intitoli “Old Tucson 69 $” il Cd pubblicato da Shammer nel 2007, che alterna strumentali tex-mex a canzoni che raccontano piccole storie americane di povertà, solitudine, vita “on the road” e amori finiti male (“Black Roses for Hellen” è una “murder ballad” che rimanda a Nick Cave). Musica costruita con gusto grazie ad una gavetta che ha visto Shammer suonare il clarinetto nelle fila della Banda di Aosta, per poi, frequentare i corsi di composizione dell’Istituto Musicale (con Paolo Manfrin) e di chitarra del CRAL Cogne (con Margherita Vallomy). Quest’anno ha, infine, frequentato anche il corso “C.E.T.” di Mogol. L’inevitabile maturazione si è potuta apprezzare nel corso del concerto che Shammer ha tenuto lo scorso 20 dicembre all’Espace Populaire di Aosta accompagnato da Riccardo Sabbatini (banjo, chitarra e basso) e Patrick Berdelli (batteria). Il suo morbido country pop parla adesso di rapporti padre-figlio (“A man needs an angel”) e catarsi salvifica della sofferenza (“Melody”), ma finisce per perdersi in vagabondaggi senza meta “coast to coast”(“Ghost car”). It’s just a dream?, si chiede una sua canzone. Ai posteri l’ardua sentenza.
