Parrà esagerato, e un po’ lo è, ma guardandolo – gli occhi lucidi – mentre annunciava che non ci sarebbero state più canzoni né tour, a molti è sembrato di perdere un amico. Un’era che se ne va, un tempo che c’era e ora mai più.
Certo, è un’esagerazione. Ivano Fossati non ha fatto altro che comunicare a 60 anni l’intenzione di vivere un’esistenza più leggera, più in movimento. Mentre chi sta dall’altra parte, il cosiddetto pubblico, è egoista e vorrebbe che le voci migliori non smettessero mai. Un nuovo disco, Decadancing; un nuovo libro, Tutto questo futuro. Un tour da novembre, l’ultimo (chissà quanto sarà dura vederlo consapevoli che non avremo bis). Uscite e appuntamenti offuscati dall’annuncio a Che tempo che fa: basta, mi ritiro.
Chi lo conosce, magari anche di persona, l‘ha sempre pensato – e un po’ sperato – che sarebbe finita così. Ivano rimase affascinato dal Paolo Conte che quasi dieci anni fa annunciò che forse avrebbe smesso perché le idee declinavano (poi non ha smesso e chissà se è stato un bene). Gli è sempre piaciuto la fine misteriosa di Jacques Brel, come pure l’anelata scomparsa anticipata di Lucio Battisti (che ama come musicista e di cui detesta cordialmente i testi mogoliani).
Ci sono sessantenni e sessantenni. Gli scrittori possono invecchiare. Anche i jazzisti. Anche certi rocker, come Bruce Springsteen, di cui – non a caso – Fossati ama anzitutto la capacità di gestire – e accettare – lo scorrere del tempo. I cantautori no, non possono invecchiare. Non c’è quasi nessuno che è sopravvissuto oltre i 50 anni. Chi se n’è andato prima, chi lo ha fatto e non se n’è accorto. Pochi, pochissimi a salvarsi: Fabrizio De André, che dopo quell’età ha comunque potuto fare solo un disco (con Ivano, vedi il caso). Oppure Giorgio Gaber, che però era un caso a parte, teatro-canzone, unico e indivisibile.
…Fossati saluta tutti e insegna – senza voler insegnare – una strada a un paese di gerontocrati, a un giornalismo di sepolcri imbiancati che non mollano la presa, a una casta cantautorale a cui non ha mai voluto appartenere. C’è, in questa scelta, una giustezza così intatta da suscitare lo stupore del bambino che non si ricordava già più il candore di una decisione che nulla ha a che fare col calcolo. Mai più piante del tè, uomini per niente facili, amori degli occhi, costruzioni di un amore, J’adore Venise e calze di seta sull’abat-jour. Mai più quella voce, tipica e calda, profonda e un po’ gigiona. Sarà un’assenza che farà male. Di nuovo orfani, e ancora, e ancora.
Ma che dolorosa e stordente meraviglia, in questo percorso geniale e fiero, unico e salvo, capace di riverberarsi di continuo fino al giorno – esatto – in cui è tempo di salutare tutti. Col sorriso, perché il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono, come scriveva José Saramago. Un autore che Fossati ha fatto scoprire a tanti. Come molte altre cose ci ha fatto scoprire, noi che ai concerti respiravamo dal naso come i cani, ancora e sorridenti e ancora abbaianti (sì, di un dolore a caso). Grazie di tutto, Ivano. E buona vita. Vedrai che sarà buon tempo, ce lo hai insegnato tu.
Questo bellissimo articolo è tratto dal BLOG DI ANDREA SCANZI