“La vita- ha scritto Sandro Penna– è ricordarsi di un risveglio triste in un treno all’alba”. In questa immagine affondano le radici del nome e della poetica de “I treni all’alba”, il gruppo formato dai chitarristi valdostani Daniele Pierini e Paolo Carlotto e dai torinesi Sabino Pace (piano) e Felice Sciscioli (batteria). «Il nome– spiega Pierini- è un’immagine evocativa, di stampo cinematografico, che ognuno può fare sua. Un pò come la nostra musica strumentale che, più che dare messaggi all’ascoltatore, si presta ad esserne interpretata emotivamente.»
Il titolo del primo cd, “Folk Destroyers” del 2008, indicava già la tendenza a contaminare l’originale matrice folk acustica con un variegato bagaglio di esperienze personali. Tra queste il punk che suonavano nei gruppi di provenienza: gli “Encore Fou” per i valdostani e i “BelliCosi” per i torinesi. «Io e Daniele ci eravamo stancati di gruppi in cui si strillava e basta– racconta Carlotto- per cui, per reazione, nel 2002 abbiamo cominciato a suonare strumenti acustici, senza cantante né basso. Con l’arrivo di Sabino e Felice la tavolozza timbrica si è, poi, allargata. Il punk continua, comunque, ad affiorare nella ripetitività di certi riff, e, soprattutto, nella fisicità viscerale che esce fuori nei concerti. Dal vivo abbiamo sempre avuto una marcia in più, anche se nell’ultimo cd il gap si è livellato.» Si riferisce a “2011 A.D.“, il nuovo cd che il 10 giugno è stata oggetto di un “release party” all‘Espace Populaire di Aosta, nell’ambito della rassegna “Espace Indie Friday”. A balzare subito alle orecchie è una maggiore compattezza («ogni brano del primo cd seguiva una strada strade, per questo album ne abbiamo scelta una sola» ) e un’ulteriore virata verso il prog anni Settanta grazie al maggiore utilizzo di chitarre elettriche e all’organizzazione in concept album.
A legare i nove pezzi è, infatti, il tema dell’ “apocalisse della porta accanto”, nel senso che, come l’orchestrina che suonava mentre il Titanic affondava, i Treni all’alba fanno da colonna sonora alla catastrofe di una quotidianità folle e asservita, i cui vuoti possono essere colmati soltanto con la forza dell’emozione. Nel loro caso è quella di una musica da “fine del mondo” in cui Sergio Leone si mischia coi Black Sabbath, Nino Rota coi Calexico e De Andrè con Wim Wenders. «Siamo tutti appassionati di cinema– continua Carlotto- per cui nei pezzi ci sono molte suggestioni filmiche: da “Attila, flagello di Dio” a “Distretto 13” di John Carpenter. Ma, anche, letterarie come in “L’arte della guerra”. Le musiche, in genere, nascono da me o Daniele, per, poi, essere elaborate collettivamente. Ognuno di noi si fa un immaginario viaggio personale che, però, finisce per andare più o meno nella stessa direzione.» A una musica particolare si associa un progetto particolare: dalla grafica del pittore torinese Domenico Sorrenti al mixaggio di Mauro Tavella, fonico di Linea77, e Madaski degli Africa Unite. La produzione e distribuzione sono, poi, della INRI, neonata etichetta torinese gestita da Paolo e Davide Pavanello (chitarrista e bassista dei Linea77). «Prevediamo spettacoli “altri” rispetto al normale concerto- conclude Carlotto- perché èun progetto musicale senza limitazioni di genere che si presta ad interazioni con differenti arti: dal cinema al teatro alle installazioni.»