Il salto da “Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte” alla “Misa tango”, che diresse la sera del 21 novembre 2004 nella Cattedrale di Aosta, è sicuramente di quelli spericolati. Lo può tentare, con successo, solo un musicista coi controfiocchi come l’argentino Luis Enrique Bacalov (nato a Buenos Aires il 30 marzo 1933), autore di entrambi i pezzi, che ha attraversato da protagonista diverse stagioni e generi musicali, fino alla consacrazione mondiale, nel 1995, con l’Oscar per le musiche de “Il Postino”.
Con alle spalle una solida preparazione accademica come pianista e compositore, Bacalov arrivò in Italia alla fine degli anni ’50, giusto in tempo per caratterizzare, con Ennio Morricone, il sound dei favolosi anni ’60. «Ho lavorato per una decina d’anni come arrangiatore per la RCA.– mi raccontò prima del concerto- Era il momento del grande boom discografico, e credo di avere portato, con Morricone, un’aria nuova rispetto allo standard della musica leggera italiana dell’epoca». Bacalov ha, inoltre, composto molte canzoni di successo, alcune delle quali rimaste nell’immaginario collettivo perché affidate ai due big dell’epoca: Rita Pavone (“Che m’importa del mondo”) e, soprattutto, Gianni Morandi (da “Fatti mandare dalla mamma”, appunto, a “Se non avessi più te”, da “La fisarmonica” a “Notte di ferragosto”).
«All’epoca avevo ancora velleità di fare una carriera concertistica, per cui mi inguattavo dietro lo pseudonimo di Luis Enriquez, aggiungendo una zeta al mio secondo nome. Sono peccati di gioventù che non nascondo. Anche perché con gli anni ho rivisto le gerarchie all’interno della Musica, e sono arrivato alla conclusione che non la si può dividere in alta o bassa, quanto, piuttosto, in musica cattiva e buona. E quest’ultima ingloba anche la musica etnica e leggera. Questo, però, gli accademici non lo possono accettare perché per loro sarebbe come perdere la bussola e l’idea radicata di essere un’elite baciata dal Signore».
Una poderosa spallata alla divisione tra i generi Bacalov l’ha data nel 1971 componendo le musiche del “Concerto Grosso” per i New Trolls. «Le ho scritte per il film “La vittima designata”. Il protagonista era un nobile veneziano che faceva l’hippie rockettaro, per cui ho contaminato la musica barocca con il rock. D’altronde io stesso sono nato contaminato. Sia perché gli argentini lo sono un pò tutti, sia perché, per via di madre, appartengo a quella categoria di ebrei problematici che, come Primo Levi, lo sono diventati ancora di più per reazione all’ottuso razzismo».
Cosa le ha insegnato scrivere musica per il cinema? «Tanto per cominciare ho capito che esiste una categoria della quale molte volte, con arroganza infinita e narcisismo quasi patologico, gli artisti si dimenticano, e che è il pubblico. Questa consapevolezza mi ha permesso di uscire dalla Torre d’avorio in cui spesso i musicisti si arroccano. Io, poi, ho una mia ipotesi: che, cioè, molta della musica scritta dopo Schoenberg abbia il gravissimo problema di non rispondere agli archetipi arcaici e profondi che abbiamo dentro di noi. L’unico modo per continuare a fare musica è, quindi, contaminarsi, abbandonando la Torre d’avorio della musica pura per entrare in contatto con la danza, il teatro, la letteratura, la pittura e, appunto, il cinema».
Tra i grandi film musicati da Bacalov spiccano “La città delle donne” di Fellini (in cui, nel 1979, fu il primo musicista a sostituire lo scomparso Nino Rota) e, naturalmente, “Il Postino”. «In questo film ho visto la figura di Neruda centrale rispetto al postino. Nella scena iniziale, infatti, il poeta balla con la moglie un tango cantato da Gardel, ed è stata questa la pista che ho seguito.Pur essendo nato a Buenos Aires, l’interesse per il Tango è iniziato solo una ventina di anni fa. Un giorno mi sono accorto che non ricordavo cosa cantavano personaggi lirici famosi come Fidelio o Donna Elvira, e, al contrario, mi sgorgavano spontanee le parole di vecchissimi tanghi. Ciò è frutto di una forte impronta risalente all’infanzia, quando all’ora di pranzo mio padre accendeva la radio e si sintonizzava sulla stazione che trasmetteva i tanghi. In pratica ho capito che il Tango ce l’avevo nel DNA».