Tutto è nato nel settembre dello scorso anno, a Carpi, in occasione di un’edizione del Festival della Filosofia che aveva come tema l’amore. «Ci hanno chiesto di cantare una serie di canzoni sull’amore tossico– spiega Corrado Nuccini, chitarra e voce dei Giardini di Mirò– e noi abbiamo scelto di sviluppare il tema attraverso le canzoni di Velvet Underground, Lou Reed e Nico. Indubbiamente l’esempio più famoso è “Heroin”, in cui Reed canta “eroina, è mia moglie e la mia vita…”, ma non ci siamo limitati ai pezzi legati agli stupefacenti, attingendo in toto all’immaginario dell’amore di questi artisti.»
Ne è nato “Toxic love”, il concerto che ha come protagonisti Nuccini, il polistrumentista Emanuele Reverberi e la cantante Angela Baraldi, che la sera del 21 febbraio è approdato all’Espace Populaire di Aosta per Espace Indie Friday.
I primi due fanno parte dei Giardini di Mirò, validissimo gruppo reggiano con oltre 15 anni di avventure musicali alle spalle, mentre la quasi cinquantenne Angela Baraldi è artista a tutto tondo (si è distinta anche come attrice) che ha saputo attraversare con personalità varie esperienze, conservando una precisa cifra stilistica. Da corista dei grandi cantautori (Dalla, De Gregori, Ron e Carboni) alla partecipazione al Festival di Sanremo (dove, nel 1993, ha vinto il Premio della Critica Mia Martini con “A piedi nudi”), dalle collaborazioni coi Delta V a quelle coi Massimo Volume e CCCP Fedeli alla linea.
Un eclettismo (“posso fare tutto: anche i tortellini”) confermato la scorsa settimana dal debutto, al Teatro della Tosse di Genova, dello spettacolo “The wedding singers”, in cui con 40 minuti di monologo e nove canzoni ripercorrere dieci anni di musica al femminile, a cavallo tra gli anni ’60 e i ’70, attraverso nove cantautrici nel momento del loro (vero o presunto) matrimonio. Figure come Dusty Springfield, Laura Nyro, Sandy Danny, Nina Simone, Janis Joplin e, naturalmente, Nico.
«Angela ha partecipato ai migliori progetti musicali che l’Emilia ha espresso da trent’anni a questa parte.- ha commentato Corrado- Ed è l’interprete ideale per i brani di Nico, la cantante tedesca che ha collaborato per due anni coi Velvet, per poi avere una carriera ed una vita sfortunate, costellate di amori più o meno tossici: da Brian Jones a Jim Morrison. Era stato quest’ultimo ad incoraggiarla a registrare musica sua in dischi visionari che sono ancora attuali, e lei lo ringraziò registrando una sua versione di “The End” dei Doors.»
Canzone, quest’ultima, che, ad Aosta, Angela ha rivisitato in chiave etnica (con il saz turco di Reverberi), per, poi, proporre le sue “Chelsea Girl” e “Janitor of Lunacy”. «Ho una fissa per Nico. -ha spiegato la Baraldi- Di tutte le cantanti della sua epoca è la più moderna, la meno vittima di una serie di meccanismi, come la compiacenza con il pubblico ed i problemi nel modo con cui rapportarsi con la propria immagine. Grazie a Ron e Dalla ho avuto la fortuna di entrare nel mondo della musica pop giovane e dalla porta principale, ma il mio cuore è rimasto imbrigliato nel rock, per cui dopo qualche anno ho dovuto prendere atto che le canzoni pop di successo alla Pausini non erano nelle mie corde. E, allora, perché sforzarsi di continuare a mettere tailleurini quando il mio abito era un altro? Per cui quando nel 2000 ho rotto il contratto con la WEA ho provato un senso di liberazione.»
Nel concerto di Aosta la parte del leone l’ha fatta, naturalmente, Lou Reed, la rockstar scomparsa il 27 ottobre dello scorso anno. Con il suo repertorio solistico (“Perfect Day”, “Walk on the wild side”) o con quello dei Velvet Underground di cui, nel 1965, è stato fondatore (“Sunday Morning”, “All tomorrow’s parties”, “Waiting for the man”, “I’ll be your mirror” e, naturalmente “Heroin”). «Se devo scegliere un artista rock che mi ha influenzato questo è Lou,– ha ammesso Nuccini- perché meglio di altri è riuscito a combinare la magia della poesia con una musica mai retorica, riuscendo a raccontare perfettamente il mondo delle nuove metropoli in trasformazione. E lo ha fatto combinando drammaticità ed ironia, riuscendo fino all’ultimo a non proporre una formula di sé.»