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Il NOIR IN FESTIVAL conferma che il Noir si addice agli scrittori sardi

Con 45 case editrici locali, oltre 300 nuove uscite all’anno ed uno scrittore ogni settemila abitanti si parla ormai della Sardegna come dell’isola degli scrittori. Lo ha confermato l’incontro “Meglio Sardi che Noir” organizzato lo scorso martedì 8 dicembre presso il Jardin de l’Ange di Courmayeur nell’ambito del “Noir in Festival”. Condotto da Marcello Fois (il cui “Sempre caro”, pubblicato nel 1988, è preso come punto d’inizio del boom sardo), l’incontro ha visto gli scrittori Michela Murgia, Giulio Angioni, Giovanni Maria Bellu, Wilson Saba e Giorgio Todde concordare sul fatto che il Noir si addice a questo popolo rimasto per secoli felicemente appartato”. C’è stato chi, come Todde, ha parlato di particolare corredo genetico mantenutosi inalterato soprattutto nel centro dell’isolaPer essere noir basta essere… noiresi») e chi, come la Murgia (autrice di “Accabadora“, incentrato su Tzia Bonaria, una vecchia sarta che conosce sortilegi e fatture che sanno dare una morte pietosa), ha attribuito l’attitudine ad una cattiva coscienza con conseguente senso di colpa. «Anche quando le narrazioni battono tutt’altre strade– ha detto- noi sardi non riusciamo a fare a meno dell’idea di essere detentori di destini misteriosi da illuminare, di essere vittime di complotti nascosti orditi dal Fato o dai nostri vicini di casa, e la certezza granitica di avere sempre un colpevole dietro, accanto o dentro che ci esigerà complici o carnefici al momento giusto. Probabilmente siamo un popolo che ha qualcosa da nascondere, ma non ci ricordiamo dove diavolo lo abbiamo messo.» Da ciò deriverebbe una scrittura dell’inquietudine che, oltre ad essere comune a molti scrittori sardi, è, anche, l’anima del Noir. Soprattutto quello praticato, più o meno consapevolmente, dagli scrittori sardi presenti a Courmayeur che, stando in bilico tra ponderabile e imponderabile, tendono ad indagare i massimi sistemi, raccontando vicende a tinte più o meno forti dove la domanda principale non è tanto “chi è stato?”, quanto, piuttosto, “perché l’ha fatto?”

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