«Ma è un mostro!». Così esclamò una signora la sera del 5 dicembre 1997 quando sul palcoscenico di un affollatissimo Teatro Giacosa di Aosta apparve, aiutandosi con le stampelle, Michel Petrucciani (Orange, 28 dicembre 1962 – New York, 6 gennaio 1999).
Affetto da nanismo per una malattia ossea ereditaria (l’osteogenesi imperfetta), il bravissimo pianista francese, dopo anni di onorata carriera, era diventato celebre presso il grande pubblico italiano nel settembre 1997 per l’esibizione davanti al Papa trasmessa in Mondovisione. Un’interesse più “voyeuristico” che musicale, confermato dal “tutto esaurito” aostano, che, stranamente, vide “scomodarsi” per il jazz una folta schiera di autorità, insospettabili critici musicali, presenzialisti ed imbucati vari.

Tutti in adorazione per Petrucciani, non degnarono di soverchie attenzioni i bravissimi partner: gente come il trombettista Flavio Boltro, il sassofonista Stefano Di Battista, il trombonista Didier Loulou,il bassista Matthew Garrison e, soprattutto, il batterista americano Steve Gadd, che in fatto di esperienze musicali poteva vantare un curriculum perfino superiore al pianista francese (da Paul McCartney agli “Steps Ahead”) . «My name is Michel Petrucciani», si presentò il pianista, che, pur trovandosi in una regione francofona, durante il concerto usò l’inglese, con una breve parentesi italiana (la sua era una famiglia di musicisti di origine napoletana) . Nè lui né la sua musica avevano, in realtà, bisogno di tante parole.
Il canovaccio del concerto seguì la scaletta dell’ultimo cd “Both Worlds” che si rifaceva alle musiche ascoltate dal pianista durante l’infanzia. Per evocarle Petrucciani alternò organici, scansioni ritmiche ed atmosfere: dall’incantato “Petite Louise” (in duo con il soprano di Di Battista) ad echi di Broadway, da climi brasiliani ad atmosfere alla “Jazz Messengers”.
Fino all’apoteosi del finale “Take the A train”.«Il progetto-spiegò Petrucciani- è frutto della collaborazione con il trombonista Bob Brookmeyer, che per me è il miglior arrangiatore attuale. Gli ho inviato le mie musiche perché ci lavorasse liberamente con l’unica richiesta di una sezione ritmica moderna, perché in questo momento ho una grande voglia di suonare del rock. Non mi dispiacerebbe affatto eseguire qualche assolo su un album di Prince o Madonna. Prima di registrare, abbiamo provato a lungo in tournée perché una composizione è come un bebè: acquista identità con il tempo. Più si suona, più diventa bella».