Se ne è andato il 30 gennaio, a 84 anni, stringendo la mano della figlia. Con le forze che gli permetteva quella malattia del sangue dal decorso troppo rapido e dissonante per uno, come Sebastiano “Pucci” Cammareri, che aveva fatto dell’armonia e della leggerezza la cifra stilistica della sua vita e della sua musica.
«Sulla tastiera si muoveva come una farfalla», ricorda l’amico Alberto Faccini, compagno di tante serate musicali.
Autodidatta, Pucci aveva imparato a suonare il pianoforte a casa dei fratelli Peruzzi, che, con il fisarmonicista Cesco Zimara, erano stati i suoi primi partner musicali. Pur senza possedere a lungo uno strumento, si era affermato come uno dei migliori pianisti valdostani girando “come un birillo” da un locale da ballo all’altro dell’euforica Aosta del secondo dopoguerra. Dal Mont Blanc al Music Club Trieste, da Le Poste al Kursaal di Saint-Vincent. «Era un periodo fortunato perché usciva un’ondata nuova di bella musica.- mi aveva raccontato- Con alcuni musicisti andavamo molto al cinema, stando attenti alle colonne sonore. Mi portavo carta e matita per trascriverne i temi,in particolare le commedie hollywoodiane. Stessa cosa quando c’era la serata finale del Festival di Sanremo: la ascoltavo in casa di Peruzzi, da una vecchia radio a valvole, ed il giorno dopo suonavamo già la canzone vincente. Gli spartiti arrivavano dopo, molto dopo.»
Spesso tra le musiche eseguite facevano capolino sue composizioni pubblicate da case editrici milanesi e torinesi: dalla beguine ”Amami” a “Chiesetta fra le rose”, dallo swing ”La grande curva” a “Malinconica Rumba” (che nel luglio 1954 fu eseguita alla radio da Michele Montanari accompagnato dall’orchestra di Fred Buscaglione). Negli anni ’50 Cammareri si ritrovò, inoltre, ad accompagnare alcune “star” di passaggio ad Aosta come Gigi Beccaria, il duo Fasano e Tullio Pane.
Il suo grande amore rimaneva però il jazz, rivelatogli da Franco Davite e coltivato con Elio Giulio e Edoardo Mancini. Fu con questi due, più Luciano “Tatina” Bodria e Tonino Sofi (presto sostituito da Alberto Faccini), che nel 1963 nacque l’Aosta Jazz Quintet, il primo vero gruppo jazz valdostano. Tra i suoi beniamini citava George Shearing, Errol Garner e Dave Brubeck (in onore del quale aveva chiamato il figlio, valente bassista, Davide). Le qualità d’arrangiatore di Cammareri rifulsero, poi, nella Tijuana Brass Band, il supergruppo che, suonando un genere messicano alla Herb Alpert, fece da colonna sonora al Sessantotto aostano. Sono seguiti decenni d’onorevolissima militanza musicale in giro per la Valle, con concerti sempre più sporadici. Non perdeva occasione di suonare anche durante i tanti viaggi che contraddistinsero la sua pensione. A Chicago,a Boston,in Olanda e a New York, dove, al Waldorf Astoria, aveva suonato un vecchio Steinway del 1872 appartenuto a Cole Porter. Quello che in “Ev’ry Time We Say Goodbye” ha, forse, scritto il suo migliore epitaffio musicale: “ma com’è strano il passaggio dalla scala maggiore alla minore ogni volta che ci diciamo addio.»