Ho visto un re. Era il 17 luglio scorso, e in un castello, La Tour de Villa di Gressan, seduto su un trono, ha ricevuto il premio “ò visto un re”, ideato dal caricaturista valdostano Francesco “Claudiò” Puglia. Perché, seppur della satira politica e di costume, ma Re, il sessantunenne Vauro Senesi, in arte Vauro, indubbiamente è.
Lo conferma il livello delle 1300 vignette contenute in “Tutto Vauro, sessanta mi dà tanto”, l’antologia, edita da Piemme, presentata nell’occasione a Gressan insieme al giornalista Roberto Mancini.
Ripercorrendo la sua carriera dal 1972 ai giorni nostri, il volumone testimonia il suo talento nel prendere “per il culo il potere in ogni sua forma- a partire da quel piccolo potere che ciascuno coltiva dentro di sé- sfidando conformismi, querele e inni di indignazione”. «Giorgio Bocca è arrivato a dire che una vignetta è uguale ad un editoriale.-ha detto a Gressan-Non è proprio così, perché nell’editoriale c’è uno spazio per manipolare la verità che la vignetta non ha perché presuppone una sintesi feroce che arriva al lettore con la velocità e la forza prepotente di un’emozione.»
Dopo averle pubblicate per anni sui giornali (da Il Male a Il Manifesto, da Cuore a Il Fatto Quotidiano), nel 2006, la popolarità di questo “presunto comico” (come l’ha definito uno dei suoi bersagli, Maurizio Gasparri) pistoiese ha avuto un’impennata grazie alla collaborazione con Michele Santoro in trasmissioni televisive come “Annozero” e “Servizio pubblico”. «Credo di essere stato il primo a disegnare vignette in televisione.- ha raccontato- Non ero convinto della proposta di Santoro perché pensavo che in un media in cui tutto è movimento l’immobilità del disegno potesse non essere colta. E, invece, aveva ragione lui. Indubbiamente in televisione c’è bisogno di un supplemento di narrazione, ma, in ogni caso, è stata positiva l’apertura di un nuovo spazio per la satira.»
Anche perché da qualche anno gli spazi per la satira, in realtà, si chiudono. «L’attuale vuoto di ideologie ha prodotto una società di fanatici, alla ricerca spasmodica dell’uomo forte con cui identificarsi. Solo che delegando, così, totalmente il pensiero, sono, per definizione, incapaci di avere quei dubbi che sono fondamentali per la percezione della satira. Viviamo in una società subculturalmente violenta, in cui la satira, che è un gioco serissimo, durissimo fin che si vuole ma mai violento, viene vissuta come un’intollerabile provocazione.» Ecco, quindi, gli attacchi («ogni due vignette “Libero” o Il Giornale” le bollano come “sciocche”») ,le denunce, le sospensioni (come quella sua, nel 2009, da “AnnoZero”) o, peggio, gli assassini.
«Al potere- e a quello politico in particolare- la satira piace solo quando è morta. Da viva ne ha paura. Non teme certo che lo abbatta, piuttosto che lo sveli nella sua penosa illusione. Ora più che mai. La cosiddetta “politica” è ormai semplice esclusivo strumento di potere che vuole conservare lo status quo nell’illusione che rimanga eterno. Non sopporta, quindi, noi portatori sani di dubbi e curiosità senza i quali il casuale incontro con la verità non avverrà mai. E’ la stessa curiosità che ci porta ad aprire le porte di questo bellissimo castello di Gressan per vedere com’è il mondo fuori. Perché è bellissimo visitarlo, meno rimanerci rinchiuso.»
Ma i nemici della satira non si annidano solo nel potere. Accanto ai colpi di kalashnikov, in una recente vignetta Vauro cita, infatti, “la melassa di solidarietà”. «E’ uno dei prodotti dell’indifferenza. Si è espressa al massimo grado, dopo la strage di Charlie Hebdo con la manifestazione parigina i cui abbiamo visto i potenti della Terra, che il giornale sbeffeggiava, sfilare a braccetto. Adesso ci sono pure i fanatici del menefreghismo, per cui se manifesti interesse per qualcosa sei bollato come “radical chic” oppure “buonista”, perché il potere passa anche attraverso il vocabolario. Ma che termine è “buonista”? Non ha neanche il contrario, a meno di non inventarsi termini come “pezzodimerdista”.»
Gioco anarchico, la satira non può, infine, essere estrapolata dal suo contesto come, per esempio, ha fatto Beppe Grillo. «Trasportando il linguaggio della comicità in politica l’ha reso violento. Una cosa è, per esempio, far dire a dei pupazzi che ai ladri vanno tagliate le mano, altra se lo si dice su un palco arringando la folla, perché così si manda un messaggio orribile che diventa elemento di forte autoritarismo. Quanto a me, mi sono fondato il Pccm, il partito comunista dei cazzi miei. Ne sono presidente, segretario e unico iscritto. Ho pure un motto:”Mi sono convinto dei vostri torti, ma non mi avete convinto delle vostre ragioni”. Forse lo userò come epitaffio.»
L’evento è stato organizzato dagli Amici del Tour de Villa con il patrocinio del Comune di Gressan e la collaborazione della sezione locale dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia e la Pro Loco di Gressan.