“Scienza in vetta” si è conclusa, la sera del 25 agosto, al Maserati Mountain Lounge di Courmayeur, con lo spettacolo “La musica è pericolosa” di Nicola Piovani. Le “sfide, storie, scoperte” del motto del Festival (organizzato dall’amministrazione comunale con la direzione scientifica del medico e giornalista scientifico Roberta Villa) caratterizzano anche la carriera del settantaduenne pianista, compositore e direttore d’orchestra romano.
Tra le sue prestigiose collaborazioni spicca quella con Federico Fellini, di cui ha scritto le colonne sonore degli ultimi tre film. Fu lui a dirgli che “la musica è pericolosa, perché agisce a livello così profondo e inconscio da diventare pericolosa”. Da qui il titolo dello spettacolo che Piovani porta in giro da tre anni, che è un racconto teatrale in cui “la parola arriva dove la musica non può arrivare, ma, soprattutto, la musica la fa da padrona là dove la parola non sa e non può dire”. Affiancato da Marina Cesari (sax e clarinetto), Pasquale Filastò (violoncello e chitarra), Ivan Gambini (batteria e percussioni) e Marco Loddo (contrabbasso), e con l’aiuto di foto e video, Piovani ha raccontato al pubblico i frastagliati percorsi che l’hanno portato a fiancheggiare il lavoro di De André, Fellini e Comencini. E, ancora, a scrivere per il teatro, per la televisione (dal 2014 è sua la musica che fa da sottofondo ai titoli del TG 1), per cantanti e strumentisti. Ha alternato, quindi, l’esecuzione di nuove versioni delle sue pagine più note, a suoi arrangiamenti di brani di celebri compositori che sono stati tra i suoi modelli, come lo Chopin della Mazurka op.17 n.4 ed il Debussy di Golliwog’s Cake-walk da “Children’s Corner”.
Un racconto partito dalla musica leggera ascoltata, da piccolo, dalla radio casalinga e dalla scoperta della musica classica attraverso l’ascolto compulsivo, sul giradischi Leasaphon Perla, di alcuni 33 giri regalatigli da una zia. Fu lo stupore di quegli ascolti a plasmarne l’estetica musicale. «La musica che mi seduce– ha detto- è quella che sa sorprendermi, che arriva da zone diverse da quelle che mi aspetto, quando meno me l’aspetto.» Ne è un esempio eclatante l’introduzione de “Il bombarolo”, canzone sovversiva da “Storia di un impiegato” di De Andrè, che a Piovani, coautore dell’album, come del precedente “Non al denaro non all’amore né al cielo”, fu ispirata dal suono delle campane del convento romano delle Suore di Carità dell’Immacolata Concezione di Ivrea. O la celeberrima “Quanto t’ho amato” nata, con Vincenzo Cerami, come parodia di un sentimentale brano démodé, e della quale ha ribadito essere l’autore dei versi, corporativistici, come li ha definiti, “in amor le parole non contano, conta la Musica”.
La lanciò Roberto Benigni nello spettacolo teatrale “Tutto Benigni” del 1995 che inaugurò una collaborazione culminata, nel 1999, con l’Oscar per la migliore colonna sonora con “La vita è bella”. Per Piovani fu la sua consacrazione, sancita, al momento della consegna della statuetta a Los Angeles, dalla rivendicazione di non essere un semplice pseudonimo di Ennio Morricone, come, erroneamente, sosteneva un’enciclopedia statunitense. A conferma di uno spirito refrattario alle autocelebrazioni che lo porta a rifiutare l’appellativo di Maestro (se non nell’accezione di artigiano) e che, anche nei momenti più esaltanti gli fa risuonare nelle orecchie la voce del detenuto de i “Soliti ignoti”: “E chi se ne frega non ce lo metti?”
