
Negli anni pre-Covid uno spettacolo di e con Lucilla GIAGNONI era ormai diventato una piacevole consuetudine per la Saison Culturelle valdostana. Dal 2016 al 2018 l’attrice fiorentina ha, infatti, rappresentato ad Aosta tutta la sua Trilogia della Spiritualità. Dapprima “Vergine madre”, poi “Big Bang” ed, infine, “Apocalisse”. Nel nefasto 2020, con “Magnificat”, avrebbe dovuto iniziare a rappresentare la Trilogia dell’Umanità (che comprende anche “Ecce Homo” e “Furiosa mente”). Più volte rimandato per la chiusura dei teatri, il lavoro è arrivato finalmente al Teatro Splendor il 4 e 5 giugno 2021. In presenza di pubblico, ma senza, purtroppo, il massiccio afflusso che aveva caratterizzato i suoi precedenti aostani. Colpa in gran parte, ma non solo, del timore per il Covid che tiene l’abituale pubblico di abbonati della Saison, non proprio giovanissimo, lontano dallo Splendor.

Colpa di quella mascherina con cui Lucilla Giagnoni è salita sul palco dello Splendor. Salvo togliersela dopo pochi minuti per dire: «Questa è la più grande trasformazione che oggi possa avvenire in un Teatro». Gli scroscianti applausi hanno fatto capire che gli spettatori erano ancora una volta pronti a farsi coinvolgere e travolgere da lei.
Molti erano degli habitué visto che i suoi spettacoli creano dipendenza, perché ognuno si sforza di dare una risposta alle domande lasciate aperte dal precedente e di porre nuove domande per il successivo.
Una ciclicità che ha fatto da fil rouge anche a “Magnificat” che è articolato come un gioco dell’oca. Che, poi, come la vita è un percorso a spirale fatto di ostacoli, cadute, voli, prove, incontri e racconti. Ma che, in fondo, è alla base anche del gioco del Teatro. L’attrice ha, infatti, aperto lo spettacolo confessando di essere un’oca. <Ma chi me lo fa fare? Chi mi fa pensare che il Teatro possa ancora cambiare qualcosa? Che possa salvare il mondo? Ma chi me lo fa fare di essere a teatro a combattere contro la stanchezza, la disillusione, l’assuefazione?… Adesso so perché devo salire sul palco. Perché ho un compito magnifico: essere un’oca>.

Le 63 caselle (più un centro dove c’è l’Oca) hanno così, dato all’attrice il la per lanciarsi nei suoi spericolati voli nel tempo e nello spazio, tra simbolismi, favole, miti e riflessioni, alla ricerca del senso di quella “strana meraviglia” che è la vita. Perché “una società che ha perso il senso della vita non lo trasmetterà ai figli piccoli, non lo riconoscerà nei genitori anziani”. <”Magnificat”- aveva spiegato prima dello spettacolo- è in questo momento il punto più alto del mio lavoro di ricerca costante per cercare di rispondere alle domande di una donna di adesso, che ha superato il mezzo del cammin della sua vita e vede il mondo andare in una direzione non sostenibile>.

Con la consueta smisurata bravura Lucilla ha, così innalzato il suo canto di lode alla Vita, alla Terra e all’energia del Femminile, presente in diversa misura in tutti noi. Ma, anche, al potere dell’Attore che, come ha cantato nel finale pieno di pathos, sottolineato dalle musiche del marito Paolo Pizzimenti, può fare quello che non viene fatto da altri: <io posso magnificare. E bilanciare, mescolare, armonizzare….E alto sarà l’umile e perdere sarà vincere… Perché vincere è possedere, è prendersi la posta solo per sé. E’ far finire il gioco. Vincere è troppo poco. Io voglio molto di più. Io voglio vivere. Voglio una vita magnifica sulla Terra. E’ questa la posta in gioco…Lo scopo della vita è la vita>.

Prima dello spettacolo Lucilla si era soffermata sull’energia del Femminile, presente in diversa misura in tutti noi, che troppo a lungo è stata soffocata <Con la complicità delle donne, ma, soprattutto, con la grandissima responsabilità degli uomini.- aveva sostenuto- Ci sono due movimenti: uno, maschile, che è agire sulle cose, e l’altro, femminile, che è cercare la connessione tra le cose, consentendo relazioni e, quindi, sviluppo. Come gli orientali sanno bene, le due forze devono essere in equilibrio, perché se si travalica la misura si entra, come dice il maestro Yoda, nel lato oscuro. E, quindi, la forza, che è la potenzialità del maschile, diventa dominio, violenza, sopraffazione. Una categoria del dominare, del chiudere, del controllare che ho vista praticare in epoca Covid in cui l’unica narrazione passata è stata quella del controllo attraverso la paura. Ho un’ammirazione totale per la Scienza, ma quando questa diventa Scienza di Stato allora la mia parte anarchica grida: attenzione! E quanta Scienza di Stato abbiamo subito in questi due anni!>.

Pur essendo stato scritto nel 2018, “Magnificat” anticipa, tra l’altro, i lockdown, visti come opportunità di crescita. Ad un certo punto, parlando della Bella addormentata nel bosco, Lucilla vi inneggia, infatti, alla necessità di un rallentamento: “una dilazione perché si crei del tempo. Tempo opportuno, tempo fertile, tempo necessario per maturare ed opportuno per sognare un nuovo mondo”.
Ma le qualità profetiche della Giagnoni hanno fatto pure sì che nel lontano 2001, assistendo al disastro delle Twin Towers, avesse immaginato la donna protagonista del suo primo prodotto autoriale, “Vergine madre”, che si isolava nel suo giardino per passare il tempo oscuro cercando parole di bellezza nella poesia della Divina Commedia. <Quando nel 2020, per il lockdown, mi sono trovata realmente chiusa nel mio giardino, la profezia di quella donna è diventata realtà. E Dante è ritornato ad essere il compagno dei momenti oscuri. Senza di lui sarei impazzita. Così con l’aiuto di mio marito, che è musicista, e di mia figlia Bianca, che è videomaker, ho interpretato, prima donna al mondo, tutti i cento canti della Divina Commedia in video sul canale YouTube del Teatro Faraggiana di Novara di cui sono direttrice artistica. Progetto “Vespri danteschi” andato, poi, in onda quest’anno su Rai 5 dal 21 febbraio al 25 marzo, la data del 1300 in cui gli studiosi dicono abbia avuto inizio il viaggio dantesco>.