
Il nome del paese dell’Alta Valle d’Aosta viene dal motto della nobile famiglia D’Avise: “Qui tost Avise tard se repent“, che in francese medio significa “chi presto avvisa, tardi se ne pente“.
Chi sicuramente deve pentirsi sono i valdostani che non hanno partecipato alle Giornate FAI primavera, che il 5 e 6 giugno la delegazione valdostana ha dedicato alla scoperta del borgo di Avise, uno dei più belli della regione. Sono stati, comunque, trecento, quelli che, previa prenotazione, hanno seguito le visite guidate organizzate dal dinamico comitato giovani FAI diretto da Caterina Pizzato e presente ad Avise con Valentina Borre, Alice Brunazzetto, Fabio Janin, Davide Dujany, Giuseppe Grassi, Laurent Grange, Giorgia Pasquettaz e Sophie Diemoz. Con l’apporto straordinario di due esperti d’Arte come Sandra Barberi e Bruno Orlandoni.
L’introduzione alla visita è stata fatta dalla bravissima Alice Brunazzetto che ha ricordato come la sua posizione strategica all’imbocco della Valdigne, su una sporgenza rocciosa a picco sulla forra di Pierre-Taillée, per secoli l’avesse reso il paese baluardo a difesa dei traffici commerciali verso il valico del Colle del Piccolo San Bernardo. Facendo la fortuna della nobile famiglia dei d’Avise, una delle poche a potersi permettere di non sottomettersi a Casa Savoia ed a costruire ben tre castelli a distanza di poche centinaia di metri l’uno dall’altro: la Casaforte Ducrest (Castello di Cré), il Castello Blonay ed il Castello dei Signori d’Avise.

Del Castello Blonay ha parlato Bruno Orlandoni. Castello medievale, fu la primitiva dimora dei Signori di Avise. E’ caratterizzato dall’imponente torre quadrata, coronata da merli a coda di rondine, che fu edificata prima del castello, nel XII secolo, e servì a lungo da prigione, tanto da assumere l’appellativo di Tour des Prisons.
Del Castello dei Signori d’Avise situato all’ingresso del borgo ha, invece, parlato Alice Brunazzetto. Il castello venne fatto erigere nel 1492 da Boniface d’Avise e fu a lungo la dimora della famiglia. Esternamente si presenta come un massiccio parallelepipedo a base quasi quadrata, con bifore carenate al piano nobile decorate da motivi circolari scolpiti l’uno diverso dall’altro. L’interno è attualmente occupato da un ristorante, dove, al primo piano, si può ammirare la “stanza della cassaforte” e la “sala delle mensole“, così chiamata per la presenza di 14 mensole lignee scolpite, a raffigurare figure in costume quattrocentesco, animali o mostri mitologici, con un chiaro rimando al gusto castellano medievale valdostano. All’interno si trova anche una grande sala dal soffitto a cassettoni.
La spiegazione della Chiesa parrocchiale di San Brizio è stata, infine, opera di Sandra Barberi. L’edificio fu costruito sulle fondamenta di uno più antico. Una tradizione vuole che la chiesa parrocchiale fosse anticamente eretta tra Runaz e Pierre Taillée, sulla strada romana. Allorché questa chiesa, dedicata a San Martino, venne distrutta con tutto il villaggio di Runaz dagli eserciti di passaggio intorno al IX – X secolo, sarebbe stata ricostruita sull’altro lato della Dora, meno esposta alle incursioni militari, e dedicata a San Brizio, discepolo e successore di San Martino. Nel 1400, grazie a due benefattori (zio e nipote) che si chiamavano entrambi Antoine d’Avise, fu costruito il campanile romanico ad opera di mastro Pierre Sella.
Ricostruita nel 1869, sulle rovine dell’antico edificio non più idoneo alle esigenze della popolazione locale, presenta all’interno preziosi altari Settecenteschi. Quello maggiore, realizzato da intagliatori valsesiani, è del 1745. In uno di quelli laterali c’è una preziosa e, purtroppo, malandata Madonna del Rosario che risale all’inizio del Seicento. In un’altro altare sono raffigurati San Rocco e San Sebastiano, che, sembra, abbiano miracolosamente fatto sì che il paese sia rimasto immune dalla Peste del Seicento.
Il 22 aprile 2007 nella prima Cappella laterale destra è stato, infine, inaugurato il Museo di Arte Sacra che raccoglie una serie di opere appartenenti sia alla Chiesa Parrocchiale che alle Cappelle delle Frazioni e Borgate, coprendo un arco cronologico che va dal XV al XIX secolo. Alcune sono di altissimo livello, come le due di alabastro gessoso raffiguranti San Giacomo ed il Santo Vescovo, ed il grande Crocefisso di probabile fattura duecentesca. Cospicua, poi, la serie di oreficerie, con due preziose croci astilie due reliquari.
Altro segno della ricchezza della casata degli Avise sono, infine, i preziosi i resti delle vetrate medioevali risalenti al 1530.

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