“Fu alle sei del mattino il nove Giugno Millenovecentocinquantuno che sbucai dal ventre folle della nonna per entrare nel mondo folle-cieco”. Oggi ricorre il compleanno di Daniele Gorret, uno dei più grandi scrittori valdostani. Lo ricordo riproponendo la recensione del suo ultimo libro: “Compendio di retorica” del 2008.
La retorica nacque in Grecia nel V secolo a.C. come arte del persuadere. Applicando le sue regole, l’oratore era, infatti, in grado di “delectare” (cioè catturare l’attenzione con un discorso non noioso) per “docere et probare” (ovvero informare e convincere) e “movere” il pubblico ad aderire alle sue tesi. «E’ un’arte nobilissima– sostiene lo scrittore Daniele Gorret- sulla quale si costruiva la logica del discorso poetico, ma, anche, prosastico e forense. E’ entrata in crisi nel Novecento, quando la nuova poesia ha voluto far piazza pulita delle figure retoriche. Al punto che adesso nel linguaggio comune ha, addirittura, un significato negativo in quanto è scaduta a enfasi retorica, cioè ad un uso banalizzato e banalizzante di tali figure». Ecco, quindi, che Gorret- “custode di reliquia della Lingua” e uomo altro e altrove rispetto al manicheismo di questi tempi sgrammaticati e senza dialettica- ha pensato bene di rispolverare quest’arte scrivendo il “Compendio di retorica” appena pubblicato da Capanotto Editore. nella sua prestigiosa collana di poesia.
Il libro si inserisce nella serie di libri di “poesia civile”, iniziata nel 2003 con “La ballata dei tredici mesi”, in cui l’”utopista mentecatto” Gorret, usando la carezza dei suoi “versi strani, nemici di successo”, colpisce col pugno della rabbia l’ipocrisia del “Mondo Falso”. Questa volta lo fa usando la lente d’ingrandimento di 18 figure retoriche (dalla Metafora all’Iperbole, dall’Eufemismo alla Perifrasi), che costituiscono altrettanti capitoletti del libro. All’interno di questi ha, infatti, inserito ricordi e pensieri, che, partendo dalla figura del titolo, riflettono il suo punto di vista sul mondo. «Se c’è una figura retorica che può sintetizzare i miei testi è Antitesi, la mia è, infatti, una continua contrapposizione alla società dominante. In un tempo come il nostro in cui tutto sembra essere in funzione di una costruzione falsificante del vero, la retorica è una straordinaria forma di rovesciamento di questa situazione. Prendiamo, per esempio, l’Ironia che definisco una vera e propria “bomba di Hiroshima… che assalta l’ingiustizia, che si scaglia al potente e gli fa lotta”. Come tutte le altre figure retoriche, è, però, un’arma a doppio taglio, che può sì far venire in chiaro cose che stanno ben nascoste, ma anche, in bocca al malvagio, essere usata per difendere l’indifendibile. La lingua degradata dei nostri tempi è, infatti, diventata strumento di potere. La figura retorica più attuale è, quindi, l’Ossimoro che accosta un termine al suo contrario. E’, infatti, sempre più diffuso l’uso di dire per, poi, disdire o dimenticarsi di aver detto. A cominciare dai politici che la mattina fanno una dichiarazione e il pomeriggio la smentiscono. E’ come se il valore fosse nell’affermazione stessa e non nel nesso con altre affermazioni. Da questo punto di vista Berlusconi è un geniale Ossimoro vivente». Ma per lei anche il poeta è un “concentrato di ossimori penoso”… «Sì, il poeta armato-disarmato è costretto dicendo a contraddirsi, ma, il poeta vero è anche uno dei pochi spiriti che tengono gli occhi ben aperti sul presente buttandoci dentro la forza di quanto di meglio hanno appreso dal passato. E, secondo me, oggi l’Arte non dovrebbe essere altro che la registrazione nella parola, nella materia o nei suoni delle scintille prodotte da questo cozzo tra ciò da cui veniamo e stiamo vivendo e ciò verso cui stiamo andando. Non a caso morte da immortale è la morte del Poeta».