
“E’ possibile connettersi alla materia oscura del Mito?” A chiederselo ne “La Caccia”, la rilettura di Luigi Lo Cascio della tragedia “Le Baccanti” di Euripide andata in scena il 15 febbraio al “Giacosa” di Aosta, è il saccente Pietro Rosa, esperto–bambino «che pretende di spiegare tutto, convinto che con il concetto si possa esaurire anche il contenuto della materia incandescente della tragedia.» Connettersi è possibile, è la risposta che nel lavoro dà l’attore palermitano. Non, però, con le granitiche certezze della razionalità dell’esperto (che, infatti, viene sbranato dagli uccelli mentre sta per enunciare il senso della tragedia), quanto, piuttosto, coi dubbi e il sentimento che vi ha messo un Lo Cascio che nel corso di una cordialissima intervista ce ne ha parlato con il trasporto di un innamorato. «Ho molto affetto per come è venuto il lavoro», ha ammesso infatti. Per, poi, lanciarsi nel racconto di un “colpo di fulmine” scoccato sedici anni fa, subito dopo il diploma all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica, grazie ad una commissione di quello stesso “CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia” che “La caccia” ha prodotto. «Il Css dette la possibilità a me, Alessio Boni ed altri giovani attori di portare in scena un nostro testo inedito. Cosi’ scrissi “Verso Tebe” in cui inserii pezzi che avevo tradotto de “Le Baccanti”. Si tratta dell’ultima tragedia scritta da Euripide, e il fatto che non sia riuscito a vederla rappresentata ha fatto sì che da subito si sia aperta a possibili interpretazioni. Io ho cercato di rimasticarne alcuni elementi partendo dal tema
della caccia che è molto presente perché tutti i personaggi, dal Dio Dioniso al tiranno di Tebe Penteo, si presentano come
cacciatori che vogliono catturare e distruggere il nemico. Salvo poi, come nel caso di Penteo, subire un ribaltamento, per cui da cacciatori divengono cacciati. Una situazione contraddittoria nella quale ci siamo trovati tutti, per cui pensiamo di inseguire delle cose e ne siamo, invece, inseguiti. Anche perché, sotto sotto, l’attrazione per il bersaglio è dovuta al fatto che vi ritroviamo qualcosa di nostro.» La frammentarietà de “Le Baccanti” e la difficoltà di metterne in scena alcune parti sono state risolte drammaturgicamente da Lo Cascio (che oltre che magnifico interprete ne è anche autore e regista) trasformando lo spettacolo in un “incubo ben riuscito” denso di simbolismi e atmosfere ipnotiche rese grazie al meglio da+- un’appassionata multimedialità creata dalle scene e dai disegni animati di Nicola Console ed Alice Mangano e dai paesaggi sonori della moglie Desideria Rayner. Il tutto inframmezzato dagli ironici inserti video dell’esperto – bambino e di “coroselli” che esaltano, di volta in volta, l’“Epos, nutrimento degli Dei” o il resort “Kiteron”, dove la chirurgia plastica fa miracoli “per non perdere la faccia”. «Si tratta- ha spiegato Lo Cascio- di video spot che attualizzano la funzione del coro che nella tragedia greca rappresentava la comunità che, compattandosi, esprimeva un giudizio o esortava a dei comportamenti virtuosi. Adesso si è, invece, trasformato in qualcosa di negativo, in cui una voce impersonale si inserisce in maniera molto volgare, alla stregua della
pubblicità, finendo per influenzare negativamente i costumi e la personalità dei consumatori-spettatori.» Nell’ironia di questi inserti, abbiamo chiesto, c’è qualcosa del “sentimento del contrario” del suo conterraneo Pirandello? «La mia intenzione era che racchiudessero una forma di riflessione che portasse ad un sorriso amaro. A volte suscitano, invece, un riso sguaiato che mi infastidisce. Alcuni spettatori hanno, poi, pensato, erroneamente, che io abbia voluto dissacrare, ma anche in “Le Baccanti” la tragedia viene intaccata da momenti comici che vengono da Aristofane e dalla Commedia, come quando Dioniso traveste da donna Penteo. A legittimarli è, poi, la storia del Teatro che è venuto dopo e che nelle tragedie di Shakespeare vede l’accostamento del tragico con intermezzi comici. Questo lavoro riflette, infatti, la storia della mia formazione teatrale e come sono fatto. Il bello di un’opera è, infatti, quando è l’attestazione di una crisi che è innanzitutto dell’autore. Credo di avervi mostrato i dubbi e le incertezze che avevo mentre leggevo “Le Baccanti”. Quello che mi è rimasto è ciò che non ho capito e continua a lavorarmi dentro come mistero, per questo nel lavoro ho cercato di mantenere dei punti un po’ oscuri, senza esplicitarli troppo.».