Se il maggio 1968 fu una tappa fondamentale per la maturazione politica di un’intera generazione, per l’allora diciottenne Fabio Treves rappresentò molto di più. Il bluesman milanese si emoziona ancora nel ricordare quel 23 maggio, quando, prima del concerto al “Piper” di Milano, strinse le dita magre e affusolate di un giovane chitarrista americano con la carnagione da nativo indiano, capelli cotonati e giacca floreale arancione. «Hi Jimi- gli disse- Fabio is my name. I was born the 27 November, the same day of your birthday…». Dove Jimi stava per Jimi Hendrix, “la luce”, come lo definisce oggi, che con quelle dita stava scrivendo la storia del rock. E’ uno degli straordinari incontri che costellano la vita di Treves che il 14 agosto si è esibito al Palais Saint-Vincent con la sua storica band formata da Tino Cappelletti (basso e voce), Alessandro ”Kid” Gariazzo (chitarre, mandolino, lap steel e voce) e Massimo Serra (batteria). E’ stata la tappa conclusiva del tour estivo del padre delblues italiano, che dal lontano 1974 cerca di “portare sempre più gente ad amare il Blues, diffondendone i valori unici e profondi”. Una passione iniziata a metà anni Sessanta con il disco “Hoochie Coochie Man” di Muddy Waters(che poi ha conosciuto), e che, negli anni, ha portato l’armonica del “Puma di Lambrate”, com’è soprannominato, ad incrociare musicisti del calibro di Charlie Mingus, Peter Tosh, Mike Bloomfield, John Mayall, Stevie Ray Vaughan, Johnny Winter, e, tra gli italiani, Branduardi, Finardi, Cocciante e Mina.
Nel 1988 ebbe, poi, il privilegio di diventare l’unico musicista italiano a essere salito sul palco di Frank Zappa (che nella sua autobiografia definì Fabio “un anarchico”). Si spiega, così, il seguito di fedelissimi che lo hanno raggiunto anche a Saint-Vincent nonostante le pessime condizioni meteo che hanno costretto al precipitoso spostamento del concerto al Palais dall’originaria sede di Piazza Cavalieri di Vittorio Veneto. «Pochi ma ottimi», ha esordito Treves, che ha tratto dalle avversità metereologiche ancor più energia per un concerto intimo in cui la sua musica “scarna, essenziale e pulsante” è diventata, a tratti, “unplugged”, come nell’itinerante “Walking Blues” di Robert Johnson. Ripercorrendo, con sapienza e ironia, la storia del Blues, con infallibili classici al cui cospetto non hanno sfigurato (anzi) suoi cavalli di battaglia come lo scatenato “Stone Fox Chase”, “I don’t want you to be my girl” e “Traintime blues”, in cui con armonica e battito dei piedi ha evocato il rumore del treno. Il concerto era inserito nel programma di “Saint-Vincent Estate” messo a punto dall’associazione “In Saint-Vincent”.