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Musica Classica

Attenti al (Radu) LUPU

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Se non tutti sono d’accordo sul fatto che sia il più grande pianista del mondo, nessuno può, invece, negare che sia il più misterioso. In quasi mezzo secolo di carriera, infatti, le interviste che il virtuoso rumeno Radu Lupu (Galați, 30 novembre 1945) ha concesso si contano sulle dita di una mano, e dal 1990 nessun giornalista è più riuscito ad avvicinarlo. “Per paura di essere frainteso o citato erroneamente”, si giustificava. Si è negato all’intervista anche quando, qualche anno fa, è stato “Artist in Focus” del terzo canale della Bbc che per alcuni giorni gli ha dedicato l’intera programmazione mattutina.

A parlare di lui ha lasciato che fossero i colleghi: da Mitsuko Uchida, che lo ha definito «il musicista più significativo che abbia mai conosciuto», a Daniel Barenboim che ha sottolineato la sua irraggiungibile immaginazione sonora e la sua abilità nel creare suoni e impasti orchestrali sul pianoforte.

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Lupu preferisce parlare con la musica, il linguaggio universale con cui ha sempre messo d’accordo tutti: pubblico, critica e, appunto, colleghi. Lo dimostra la prestigiosa tripletta di vittorie in importanti concorsi con cui esordì (il Van Cliburn del 1966, l’Enescu International del 1967 ed il Concorso di Leeds del 1969), i premi vinti dai suoi Cd, le collaborazioni con le più importanti orchestre ed i migliori direttori del mondo. Il suo aristocratico distacco dal mondo si esprime anche nell’ossessivo concentrarsi su un numero di musicisti e su un gruppo di opere molto ristretto: Beethoven, Brahms, Grieg, Mozart, Schubert e Schumann.

E’ stato, appunto, con una “lectio magistralis” schumanniana che Radu Lupu si è esibito il 9 aprile 2006 nel piccolo Theatre de la Ville di Aosta per la “Saison Culturelle”.

Sedutosi sulla sua sedia (non usa il classico sgabello da concerto), gli è bastato appoggiare le mani sul pianoforte per “perdersi” in un’intima, compostissima, conversazione.  Con se stesso, con il pubblico e con un autore, Schumann, che ai colloqui intimi era abituato anche per via di una dissociazione psicotica.

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Al punto che in alcune opere per pianoforte è arrivato ad affidarli a due creazioni della sua fantasia: il meditabondo e sognatore Eusebio e l’appassionato ed impulsivo Florestano. Clima che, più che nelle formali intemperanze della “Sonata n.1”, ha incantato nell’aggraziata ”Humoresque op.20” e nelle visionarie “Waldszenen op.82”.

Opere scritte in uno stato di ebbrezza creativa (“Ecco come va adesso per me: al galoppo. Creato, scritto, stampato”), in cui Schumann, liberatosi dalle pastoie del virtuosismo, riuscì a dare risonanza lirica alle “voci interne” che lo ossessionavano. Pagine ricche di sfumature, in cui si passa dalla violenza visionaria dei pezzi in stile “Florestano” alla vertigine ipnotica dei pezzi in stile “Eusebio”, che Lupu ha sussurrato a mezza voce, stemperando nella tinta mediana, quella della malinconia, una bellezza che, come scriveva Stendhal, è solo promessa di felicità.

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Foto di Kirill Gernstein

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