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Jazz

Il gran maestro WYNTON MARSALIS ad Aosta con la JAZZ AT LINCOLN CENTER ORCHESTRA

Il 19 luglioAosta Classica” ha giocato il primo degli assi della sua sedicesima edizione. A salire sul palco del Teatro Romano è, infatti, stato il quarantanovenne Wynton Learson Marsalis, poliedrico trombettista americano che unisce ad un enorme talento artistico una grande capacità di muoversi nella società americana che conta. Lo conferma il magazine “Time” che nel 1996 lo inserì tra le 25 persone più influenti d’America, ma anche i 128 milioni di dollari che Marsalis è riuscito a raccogliere per costruire, a New York, la nuova sede del Jazz at Lincoln Center. Diecimila metri quadri di spazio, due teatri, un club, un centro studi e una sala multimediale che il 18 settembre 2004 ha inaugurato, nel cuore di Manhattan, con le parole: ”benvenuti nella casa dello swing”.

“Jazz at Lincoln Center” ha due orchestre stabili, una di queste era sul palco del Teatro Romano con Marsalis per il terzo concerto della loro tournèe italiana. I 14 bravissimi solisti che la compongono si sono confermati uno strumento “straordinariamente versatile” per uno dei viaggi a ritroso nella storia del jazz che il trombettista tanto ama. Lo conferma il programma della serata che, a parte qualche composizione del sassofonista Ted Nash, ha avuto una prima parte dedicata a composizioni di Thelonious Monk (Four in one, Light Blue, Evidence e Criss Cross) ed una seconda con omaggi al blues (“I left my baby”), Art Blakey (“Three Blind Mice”), Chick Corea (“Armando’s Rhumba”) e Duke Ellington (la finale, scanzonata, “Feet Bone”) . Il tutto proposto nella veste spettacolare (e inconsueta dalle nostre parti) della Big Band e con solisti di spicco come i trombettisti Ryan Kisor e Marcus Printup, i sassofonisti Sherman Irby, Walter Blanding e Joe Temperley e il ventottenne pianista Dan Nimmer.

Si è trattato, naturalmente, di jazz mainstream, quello, cioè, più tradizionalmente conosciuto (e amato) dal pubblico, alla cui causa Marsalis si è votato, attirandosi le accuse di voler cristallizzare questa musica in uno schema immutabile (per certi versi confermata dalle chilometriche partiture che nascondevano i musicisti). Roventi sono, infatti, state, in passato, le polemiche con critici e jazzisti del calibro di Keith Jarrett, Miles Davis, e, addirittura col fratello Brandford (quando, questi, nel 1985, andò a suonare il sassofono con Sting). «Ho la mia tradizione musicale, che amo.- ha ribattuto Wynton- Mi piace sentire la gente che fa swing: se si vuole chiamare “conservatrice” questa musica, a me sta anche bene.» E’, d’altronde, comprensibile che uno nato a New Orleans, la culla del jazz, ci tenga a tramandarne le radici filologiche. Ed è, nello stesso tempo, assai probabile che abbia ragione Zarin Metha, presidente della New York Philharmonic Orchestra, che, quando, nel 1997, Marsalis divenne il primo jazzista a vincere il Premio Pulitzer per la musica con l’oratorio “Blood on the Fields”, scrisse: «Sono sicuro che da qualche parte in cielo Buddy Bolden, Louis Armstrong e molti altri jazzisti stanno sorridendo.»                                                                                                                                                                                                   

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