Nella sua ultracinquantennale carriera il trombettista Enrico Rava ha suonato più volte in Valle. Nel 2005 e nel 2008 addirittura nello stesso Teatro Romano che lo ha ospitato il 12 agosto per l’evento conclusivo della rassegna “Strade del Cinema”. Lo ricorda, però, vagamente. «Suono così tanto e da così tanti anni– si è giustificato- che ormai confondo i luoghi e le facce.»
E’ comprensibile, visto che a settantadue anni, grazie anche ad una frenetica attività all’estero, è uno dei jazzisti italiani più noti a livello mondiale. Per farsi un’idea della sua carriera può servire dare un’occhiata al libro “Incontri con musicisti straordinari. La storia del mio jazz”, pubblicato quest’anno, in cui racconta incontri e collaborazioni: da Chet Baker a Miles Davis, da Steve Lacy a Gato Barbieri. Con quest’ultimo nel 1962 ha registrato la colonna sonora del film “Una bella grinta” di Giuliano Montaldo. E’ stato il primo contatto professionale con la musica da cinema che si è riproposto ad Aosta con la musicazione di 16 corti di Emile Cohl, pioniere dell’animazione che tra il 1908 ed il 1910 realizzò per Lèon Gaumont una vasta produzione di corti, prima interamente animati e poi in tecnica mista, facendo interagire riprese dal vero e immagini disegnate a mano.
Era con Rava la sua “tribe” formata da Gianluca Petrella (trombone), Giovanni Guidi (piano), Gabriele Evangelista (contrabbasso) e Fabrizio Sferra (batteria).«Faremo un continuum musicale, non limitandoci alla musicazione dei singoli corti.– aveva spiegato Rava- Non ho composto musiche specifiche, ma suoneremo la nostra musica, perché, a meno che uno non faccia una musica descrittiva, il rapporto con l’immagine non nasce in partenza ma è lo spettatore che lo trova facendosi i suoi “sync”. Mi è successo di comporre musica da film seguendo richieste particolari e dettagliate, per, poi, al momento del montaggio vedermela sbattere in scene completamente diverse dove andava bene lo stesso.» Come mai, nonostante il primo film sonoro, nel 1927, si intitolasse “The Jazz singer”, il jazz è sempre stato pocopresente nelle colonne sonore? «Perché ha certe caratteristiche che si adattano a film molto particolari. Negli anni Cinquanta e Sessanta ce n’era abbastanza in certi film inglesi e, soprattutto, francesi. Ma si sa, ai francesi piace essere snob, e all’epoca utilizzare musicisti come Miles, Blakey e Monk lo era abbastanza. E, comunque, ha funzionato meravigliosamente. In Italia in quel periodo c’erano Trovajoli, Umiliani e Piccioni con una musica vagamente parajazzistica.»
Lei è torinese e Torino è stata un po’ la culla italiana sia del jazz che del cinema, ha una spiegazione? «Non saprei, l’unica cosa certa è che se li sono portati via. Come altre cose nate a Torino: la Rai, l’arte povera di Pistoletto e Merz, la banca San Paolo, lo stesso fatto di essere stata la capitale d’Italia. Torino ha questa incredibile capacità di farsi scippare tutte le cose importanti che fa.»
Ospite d’eccezione del gruppo è stato il trombettista americano Dave Douglas, con cui Rava ha recentemente fatto una tournèe in Europa. «Dave è uno dei miei musicisti preferiti, ed anche uno dei più creativi in circolazione.-ha commentato Rava- Tecnicamente è molto avanti, e lo dice uno, come me, che è ipotecnico ma ha una grande ammirazione per gli ipertecnici, anche se, poi, in linea di massima, non mi commuovono. Però oggi che nessuno sa fare o fa male il proprio lavoro, vedere della gente che è brava a fare una cosa, che suoni la tromba o tiri su un muro, mi lascia muto d’ammirazione.»