“Stanne pur sicura io non ti scorderò”. Lo cantavano trent’anni fa i Righeira nel loro grande successo “L’estate sta finendo”, una canzone sul tempo che passa per molti versi profetica. Ed è, proprio, lavorando sulla memoria, in questo caso della canzone italiana, che è nato lo spettacolo “Italiani”, il progetto più recente di Stefano Johnson Righi. Presentato in prima assoluta alla Reggia di Venaria il 14 luglio, per il festival “Teatro a Corte”, “Italiani” è frutto della sua collaborazione con il trombettista Giorgio Li Calzi e Gian Luigi Carlone (voce, sax, flauto ) della Banda Osiris.
Nello spettacolo i tre hanno giocato con 12 canzoni di diversa estrazione e periodo, che, rivisitate in maniera sperimentale e multimediale, sono diventate altrettante scene che, andando al di là della musica, ne hanno raccontato la genesi, le influenze e il momento della storia italiana in cui sono nate.
E’ questo, per esempio, il caso di alcuni canti sull’alienazione, metropolitana (“Torino che non è New York” di Enzo Maolucci) o lavorativa (“Lavorare con lentezza” del “suonatore di sedie” Enzo Del Re). O dell’attualissima “Largo all’avanguardia” (“… pubblico di merda, tu gli dai la stessa storia tanto lui non c’ha memoria”) degli Skiantos.
E’, però, nei pezzi più conosciuti e tradizionali che la sperimentazione ha raggiunto i risultati più sorprendenti, come nel caso dell’ecumenismo cattocomunista de «L’Italiano» di un Toto Cutugno assurto agli altari grazie al video design di Massimo Violato che tanta importanza ha nella riuscita dello spettacolo. O del sentimentalismo che gronda nella rivisitazione della spensierata “Sarà perchè ti amo” dei Ricchi e Poveri. O, ancora, della drammaticità che avvolge come un sudario la nuova versione di “L’estate sta finendo”. Elaborazioni tutte basate sulla trasposizione di senso che ha il suo massimo esempio nella conclusiva “Fratelli d’Italia”, con le familiari parole cantate sulle note dell’inno russo.
La stessa trasposizione che spesso caratterizza i falsi ricordi dei testimoni, che, col tempo, mescolando ricordi reali con suggestioni affettive, tendono ad elaborare ricordi epurati dei dettagli non congruenti e sgraditi. Perchè, come i tre cantano in “Ha tutte le carte in regola” di Piero Ciampi, “la vita è una cosa che prende, porta e spedisce.” E cambia. Anche i ricordi. E non sempre in meglio, come dimostra il profetico “Canto degli Italioti”, tratto dallo spettacolo “Settimo: ruba un po’ meno”, in cui Dario Fo, nel 1964, cantava “Se diranno: quello ruba, quello truffa, quello frega, gli daremo i nostri voti, tutta quanta la fiducia e sarem tutti italioti, un po’ ottusi di cervel.”