In un’epoca distratta e smemorata come l’attuale, non saranno, probabilmente, in molti a ricordarsi di Pino Donaggio (nato a Venezia il 24 novembre 1941), eccellente cantautore che negli anni Sessanta inanellò grandi successi (da “Come sinfonia” a “Il cane di stoffa”, da “Io per amore” a “Una casa in cima al mondo”) per, poi, dedicarsi ad una prestigiosa carriera di autore di colonne sonore per registi come Brian De Palma, Joe Dante, Dario Argento, Liliana Cavani e Benigni.
Saranno, sicuramente, molti di più quelli che, invece, avranno nelle orecchie la sua “Io che non vivo (senza te)”.
Classificatasi al settimo posto al Festival di Sanremo 1965, divenne un successo mondiale grazie alla versione della cantante inglese Dusty Springfield, che, sentitala al Festival (al quale lei pure partecipava), l’aveva fatta tradurre in inglese.
Di “You don’have to say you love me” esistono decine di interpretazioni: da The Shadows a Cher, da Elton John ai Wall Street Crash, da Shelby Lynne ai Modà. La versione più prestigiosa è, sicuramente, quella di Elvis Presley.
«Da quando l’ho scritta– ha affermato Donaggio- credo abbia venduto 80 milioni di dischi. Certo quando ho saputo che l’aveva fatta Elvis ho avuto i brividi, perché ero un suo ammiratore. Negli anni Cinquanta, per fare, come tanti, un po’ di rock, rifacevo i suoi pezzi in un inglese maccheronico,. Quando ho visitato la sua villa “Graceland”, a Memphis, proprio nell’ultima sala ho trovato il disco d’oro che aveva vinto con “You don’t have to say you love me”. Credo molto nell’ispirazione, e questa canzone è nata per ispirazione. Mi è successo la stessa cosa che capitava a Giovanni D’Anzi, uno che di grandi canzoni ne ha scritte parecchie, che raccontava di non avere alcun merito nella loro creazione perché era come se qualcuno gli toccasse una spalla invitandolo a scrivere.»
Per la musica leggera Donagio rinunciò ad una promettente carriera di violinista alla corte di Claudio Scimone e Claudio Abbado. «Dopo il successo di “Come Sinfonia”, quando tornai in Conservatorio per continuare a studiare, venni visto male dagli altri musicisti e dal direttore del conservatorio. Per fortuna ci fu un professore di violino, Vittorio Fael, grande musicologo, che un giorno mi disse: “Donaggio non prendertela. Tu avrai scritto, quanto?, tre minuti di musica?, ma è la tua musica, mentre gli altri suoneranno per tutta la vita la musica di altri.” Fu una grande lezione che mi fece capire che non dovevo badare a certe critiche.»