Mai come in questi giorni, in cui è comparso in giudizio al Tribunale di Torino per reato d’opinione, è attuale uno spettacolo teatrale che lo scrittore ERRI DE LUCA (Napoli 20 maggio 1950) aveva portato, il 7 marzo 2007, al Teatro Giacosa di Aosta.
Si intitolava “Chisciotte e gli invincibili”, e per il Cocciuto (questo era il suo significativo soprannome di scena) il cavaliere della Mancia era il prototipo degli invincibili, che “non sono quelli che stanno sempre sul gradino più alto del podio… ma quelli che non si fanno abbattere da nessuna sconfitta, e dopo ogni batosta sono pronti a risorgere e battersi di nuovo”.
A fargli ala, sul palco del Giacosa, c’erano i “chisciottini” Gianmaria Testa (Trinità perché “le musiche le fa, ci mette le parole e se le canta pure”) e Gabriele Mirabassi (Muto di parole ma eloquentissimo nell’uso del clarinetto). Tutti e tre seduti intorno ad un tavolo a dissertare, tra un bicchiere di vino e l’altro, sui massimi sistemi (l’emigrazione, l’amore, la guerra, la morte) cercando di liberare gli spettatori dalla camicia di forza dell’indifferenza.
«Indifferenza– mi spiegò De Luca prima dello spettacolo- non è semplicemente infischiarsene degli altri, ma, soprattutto, non riuscire a distinguere la differenza tra realtà e finzione, al punto di assistere, senza intervenire, a prepotenze e disgrazie che accadono sotto i nostri occhi. Rimanendo spettatori, non distinguiamo la realtà dall’immaginazione, un po’ come Chisciotte. Solo che lui, sente i punti interrogativi che ci sono nei torti del mondo ed interviene sempre senza nessuna esitazione. Varrebbe, allora, la pena di darci una sciacquata agli occhi con il suo collirio, per essere un poco meno spettatori e un poco più membri di quella sua cavalleria umana commossa e irritabile. Solo che chi, poi, interviene diventa un eroe, ma, anche, il capro espiatorio che si immola in nome dei peccati del mondo.»
E’ quello che, immancabilmente, è successo a De Luca quando, nel 2010, ha criticato apertamente i lavori della Tav Torino-Lione. Una sua frase- «la Tav va sabotata»- amplificata dagli organi di stampa, gli è valsa una denuncia da parte della Ltf, la società che gestisce i lavori, perché avrebbe istigato a compiere atti illeciti contro le strutture dell’alta velocità.
Il 28 gennaio 2015 si è ritrovato, così, nell’aula di un tribunale di Torino pieno di suoi sostenitori che brandivano cartelli con scritto «Je suis Erri’» che assimilavano la sua lotta per il diritto alla libertà di espressione a quella dei giornalisti del giornale satirico «Charlie Hebdo» uccisi il 7 gennaio.
«Conosco bene il significato della parola sabotaggio– ha spiegato al “Corriere della Sera” – perché l’ho praticato proprio qui a Torino, negli anni Ottanta. Per 37 giorni e 37 notti con gli operai abbiamo bloccato la produzione della Fiat Mirafiori. Ma sabotare non vuol dire per forza scassare qualcosa, ma anche solo ostacolare come lo intendeva Gandhi. E, in ogni caso, la Tav si sabota da sola perché non hanno i soldi per farla.»
De Luca appartiene, del resto ad una generazione piena di passioni politiche (è stato uno dei dirigenti di “Lotta Continua”: n.d.r.) che, proprio per questo, «è stata la più imprigionata della storia d’Italia». «Siamo una generazione che è stata tritata e sconfitta, anche militarmente.- mi aveva detto nel 2007- E che ha pagato fino in fondo. Anzi, con gli interessi, a causa delle leggi speciali che sono state promulgate ad hoc. Il che vuol dire che si trattava di persone di un’altra razza rispetto a quelli che circolano in quest’Italia in cui nessuno paga niente. Ma proprio perché hanno pagato completamente il debito che la società gli ha accollato addosso, sono tornati ad essere dei cittadini con pieni diritti. Per cui il volere esigere che stiano zitti (all’epoca si riferiva alle polemiche legate ad una conferenza bolognese del “cattivo maestro” Renato Curcio: n.d.r.), è una cosa che la Costituzione di questo paese non prevede. Se lo vogliono, facciano una proposta di legge che tolga a questi cittadini il diritto di parola. Ma fino a quel momento non c’è alcun motivo per censurarli.»
Come ha commentato, in questi giorni, Achille Saletti su “Il Fatto Quotidiano”: «Condivisibile o meno, la frase di De Luca ricorda agli italiani che sopravvive, nei meandri di un diritto penale voluto dai fascisti e passato indenne in questi ultimi 65 anni , il reato di opinione… Più dell’abusato termine “fascista”, a riaffiorare è il pensiero reazionario che identifica mentalità e attitudine di chi pensa che un’idea (ripeto per quanto bizzarra e stravagante) debba necessariamente, se non in linea, subire, al posto di una risata di scherno, una bella punizione. Se possibile esemplare.»