Deve il suo nome d’arte, Pulsatilla, ad “una mala erba che uno sciamano mi prescrisse perché ero cattiva”. E, in effetti, di questo rimedio omeopatico la ventontenne Valeria Di Napoli riflette molte caratteristiche. A cominciare dalla camaleontica mutevolezza di chi, temendone il giudizio, tende ad adattarsi a quello che gli altri si aspettano da lei per calmare la grande paura di essere abbandonata. «Non sto bene perché sono dipendente dal parere degli altri», ha confessato, infatti, la sera del 12 settembre 2009 nel corso di un incontro inserito nel programma del “Festivaletteratura 2009” di Mantova. Se a ciò aggiungiamo una storia familiare difficile ed una vita passata “a sbattere a destra e a manca come una pallina da flipper” appare provvidenziale la valvola di sfogo della scrittura («La mia salvezza è, è sempre stata, e sempre sarà, scrivere.»)
Poi, siccome dietro l’aspetto “piacione”, c’è in Pulsatilla (persona, ma, anche, rimedio) un bisogno costante di attenzioni («c’è qualcosa di patologico nella necessità di avere pubblico», ha detto Valeria) eccola ticchettare indemoniata sulla tastiera per scrivere post su post nell’omonimo blog , a metà fra diario personale e giornalismo online, che dal 2003 ad oggi è stato visitato oltre due milioni di volte (“…mica cotica!!!”).
Un riscontro che non è sfuggito alla casa editrice Castelvecchi, da sempre vicina a nuove tendenze e fenomeni editoriali fuori dai canoni, che l’ha contattata online per fare del blog il motivo ispiratore di una strampalata autobiografia, “La ballata delle prugne secche”, che grazie ad uno stile brioso ed alla “tragica comicità” con cui affronta il suo rapporto tormentato con il mondo (genitori, sesso, cibo, dipendenza da chat), nel luglio 2006 ha raggiunto l’ottavo posto della classifica italiana delle vendite. «Evidentemente la mia sfigatissima vita faceva ridere.- ha detto a Mantova- Solo che, poi, il pubblico vuole che tu continui a fare la scimmia ammaestrata, mentre io sono una persona profondamente tragica. Scrivere è come mettersi sul greto del fiume e mandare un messaggio in bottiglia sperando di essere capita, per accorgersi , invece, che si è spesso fraintesi.»
Valeria lo è stata anche a Mantova dove una spettatrice le ha chiesto ragione della discrepanza tra l’euforica affabulatrice sul palco e il suo depresso alter ego che pagherebbe 90 euro la settimana alla psicanalista per capire i suoi sbagli. «Il dolore– ha risposto- è il disturbo di fondo con cui ho vissuto per 28 anni per cui temo, mollandolo, di cambiare. In fondo è la molla di tutti i miei rapporti, che sono speranza di guarire in due visto che sono una carta moschicida per gli psicopatici. In futuro vorrei dare spazio nella scrittura alla mia parte malinconica, in modo da essere intensa con una base di ironia riuscendo a rendere il dolore senza essere pallosa. E, poi, credo che siamo felici quando stiamo facendo qualcosa per migliorarci, per cui posso dire di essere una persona eternamente felice, perché anche quando sono infelice sto, nello stesso tempo, mettendo in pentola qualcosa che mi migliorerà.»