Nati quattro anni fa come Tenco Talks, gli appuntamenti annuali della Saison Culturelle condotti da Enrico de Angelis hanno quest’anno cambiato nome (I Talk in Musica) e formula. Decisione non legata solo alle dimissioni da direttore artistico del Club Tenco rassegnate dal giornalista nel dicembre 2016 (carica ricoperta per 20 anni), ma anche per creare nuovi ponti tra musica e parole, nel segno della “canzone d’autore” (come lui stesso l’aveva battezzata nel 1969). La domanda “sarà la canzone a salvare la letteratura, o viceversa?” è stata, così, il punto di partenza per la chiaccherata che De Angelis ha condotto il 13 aprile sul palco del Teatro Splendor coi cantautori Brunori Sas, Ginevra Di Marco e Maria Antonietta e lo scrittore Paolo Cognetti (vincitore del Premio Strega 2017).
Il legame con le Targhe Tenco è rimasto, visto che la Di Marco e Brunori sono stati due dei vincitori dell’edizione di quest’anno. La prima come migliore interprete di canzoni non proprie con “La Rubia canta la Negra”, dedicato alla cantora argentina Mercedes Sosa (che allo Splendor ha cantato con Francesco Magnelli e Andrea Salvatori), ed il secondo per la migliore canzone con “La verità”.
«Per me poteva essere la canzone del decennio, perché forse solo tra 10 anni ne scriverò un’altra così.» Così ha chiosato il quarantenne cantautore cosentino, confermando l’“eleganza verbale” e la “piacevole aria da hipster” riconosciutagli del critico televisivo Aldo Grasso, che pure non gli ha risparmiato critiche per il programma “Brunori sa” che dal 6 aprile conduce, in seconda serata, su Raitre. Prosegue, invece, con successo il tour teatrale “Brunori a teatro- Canzoni e monologhi sull’incertezza“, iniziato a febbraio, che lo conferma valente autore sociale, capace di raccontare con sguardo di documentarista disincantato la generazione cresciuta nel nuovo Secolo.
«E’ uno spettacolo sull’incertezza,- ha spiegato- che si lega, rielaborandone i contenuti, alla tematica della paura dell’ultimo album “A casa tutto bene”. Nello scriverlo una delle paure che ho cercato di combattere è stata proprio quella di affrontare argomenti scivolosi, cercando di non cadere nella retorica ma trovando, piuttosto, una chiave di lettura diversa. Ne è un esempio il coro di bambini che, in “Costume da Torero”, canta “la realtà è una merda, ma non finisce qua”, conferendo alla frase, che è l’essenza del disco, una forza superiore a quella che avrei potuto dargli io.»
Sul palco dello Splendor Dario ha duettato con Cognetti, accompagnandolo al piano nella lettura di una lettera immaginaria a Mario Rigoni Stern ed intrecciando ricordi e riflessioni. «Quest’uomo qua lo seguivo già nel 2009,- ha ricordato l’autore di “Le otto montagne”- e, ascoltandone i testi, pensavo fosse un bravo scrittore. In comune abbiamo una nostalgia dell’infanzia, intesa nel senso di radici. Alì’epoca mi ritrovavo nella sua bellissima “Guardia 82”, anche se, invece del mare e della spiaggia, pensavo alla montagna. Oltre che i suoi dischi, negli anni di isolamento ad Estoul, in Val d’Ayas, mi hanno fatto compagnia i Bon Iver ed Eddie Vedder, la cui bellissima “Society” ha influito sulla mia decisione di rifugiarmi in montagna. Le sue parole, “Spero che tu non ti senta sola, senza di me, Società davvero folle”, mi sono a lungo rimbombate In testa. Dopo un po’, però, ho realizzato che la solitudine non può essere che una fase di passaggio per fare un po’ d’ordine. Da eremitaggio la montagna si è, così, trasformata in luogo di nuovi progetti e nuove amicizie ed incontri. A Estoul, dove vivo, ho, così, creato un festival culturale e aperto un rifugio che, nei miei sogni, dovrebbe diventare un circolo culturale.»
Nel troppo breve set acustico in cui si è alternato tra chitarra e pianoforte, Brunori ha interpretato “La verità”, “Arrivederci tristezza”,“Canzone contro la paura” e “L’uomo nero” che recentemente ha vinto il Premio Amnesty International Italia per il migliore brano sui diritti umani, indetto da Amnesty International Italia e dall’associazione culturale Voci per la Libertà. «E’ una canzone nata da discorsi captati da persone per me insospettabili. Parte dalla xenofobia, ma, più in generale, ha a che fare con la paura che ti fa vedere come minaccia tutto ciò che è nuovo. Oltre che socialmente, un mondo in cui si perde il lato umano, si alzano barriere e si ha paura della contaminazione è pericoloso anche a livello artistico, perché, così, difficilmente si tenderà ad accettare una narrazione diversa da quella comune. Nei pezzi di questo disco volevo parlare di attualità senza necessariamente prendere la posizione più comoda, cercando di guardare più il mostro che c’è in me che il mostro in sé. Perché un artista deve sforzarsi di vestire panni che gli stanno un po’ scomodi, cercando di immaginarsi qual’è l’umanità che può produrre certe cose per poterla comprendere.»