Per chi è convinto che la musica africana sia solo ritmo, il concerto che Angelique Kidjo ha tenuto il 18 ottobre al Teatro Giacosa ha riservato più di qualche sorpresa. Il successo mondiale dei cd della cantante beninese, ospite esclusiva della “Saison Culturelle”, è, infatti, dovuto in gran parte alla melodiosità della sua musica, che sa ammaliare le orecchie degli ascoltatori occidentali come pochi musicisti africani hanno saputo fare.
«Le melodie africane sono molto ispirate dalla ricchezza dei ritmi.– ha spiegato prima del concerto- D‘altra parte le lingue africane sono molto melodiche. Certe, come lo Yorouba, hanno tonalità che creano spontaneamente melodie.» Di etnia Yorouba è, non a caso, la mamma della Kidjo, che, poi, è stata quella che l’ha spinta nel mondo dello spettacolo. Letteralmente. «Avevo sei anni– ha raccontato- e la seguivo quando faceva spettacoli teatrali. Finchè un giorno la bambina che interpretava una piccola principessa si ammalò. Visto che sapevo la parte, mia madre mi costrinse a sostituirla. Io non volevo, ma lei mi spinse in scena.» In quell’occasione cantò “Atcha Houm” che è contenuta nel suo ultimo cd, “Oyo”, tributo alla musica che ha accompagnato la sua infanzia. Accanto a brani africani, come “Lakutsn Langa” dedicata al suo modello Miriam Makeba («mi ha dato la consapevolezza di poter essere una donna africana in grado di fare ciò che vuole»), ci sono hit di Aretha Franklin (Baby I Love You), Sidney Bechet (Petit Fleur, che ad Aosta ha dedicato al padre che le aveva inculcato la curiosità musicale), Santana (Samba pa ti) e la colonna sonora de «La mia Africa». Una macedonia di stili e generi che la voce evocativa della Kidjo anche sul palco del Giacosa è riuscita ad omogenizzare in un suggestivo esperanto musicale. «Quando canto nelle lingue africane– ha spiegato- il pubblico occidentale non
capisce il significato delle parole, per cui cerco di far passare il messaggio attraverso la bellezza dei suoni. Se dovessi usare tre aggettivi per definire la musica alla quale ambisco sarebbero: energica, calorosa e passionale. E’, poi, importante che si capisca che, in seguito alla liberazione degli schiavi, la musica del Benin ha influenzato tutto il mondo. Quindi per me il pop rock, il jazz o il funk sono musiche naturali perchè risuonano con la mia cultura.» Ecco perchè si è trovata a suo agio cantando alla consegna del Premio Nobel o alla Royal Albert Hall, al Montreux Jazz Festival o all’inaugurazione del campionati di calcio sudafricani. Per non parlare delle spericolate collaborazioni: da Santana a Bono, da Herbie Hancock a Peter Gabriel. E’ stato quest’ultimo a dire: «Angelique dona la vita a tutto ciò che tocca». Al punto da « vivificare », addirittura, il flemmatico pubblico del « Giacosa ». In particolare una decina di “volontari” che, prima di cantare “Agolo”, ha trascinato sul palco per iniziarli ai piaceri (e, per alcuni, all’imbarazzo) della danza afro. «Nel vostro paese- aveva raccontato- ho cantato con persone formidabili come Carmen Consoli, della quale amo la musica. Ascolto la musica italiana fin da quando ero ragazza e mi piaceva Adriano Celentano. Amo talmente la vostra lingua che la sto imparando.» Da anni lei è impegnata in progetti umanitari per migliorare la situazione dei bambini e delle donne africane, le sembra che la situazione sia migliorata? «C‘è qualche progresso, ma la strada è ancora lunga: il mio augurio è che ogni ragazza africana possa avere accesso almeno al mio stesso livello d’istruzione. E che «il «Djin Djin » della campana con cui ogni mattina ci svegliavamo (oltre che titolo di un suo grande hit: n.d.r.) annunci per l’Africa un nuovo giorno.»