Micky Greaney (nato il 1° agosto) è un genio. Suona deliziosamente la chitarra, canta con una voce da brividi e compone canzoni che sanno essere gentili e visionarie allo stesso tempo. Ascoltarlo dal vivo è un’esperienza entusiasmante. Per provarla bisogna, però, andare dalle parti di Birmingham, perché, nei primi anni Duemila, ha rinunciato ad essere una popstar costruita in laboratorio alla James Blunt o David Gray. Le premesse c’erano tutte, a cominciare dal super produttore John Leckie, l’uomo che col suo tocco da Re Mida ha contribuito al successo di gruppi come Simple Minds, Muse e Radiohead.

Leckie, che ogni anno riceve 500 richieste di produzione, aveva voluto registrare un demo con Greaney ai leggendari Abbey Road Studios. Anche perché era convinto che quello strano tipo non fosse lontano dal vero quando diceva «I know I’ve written some really timeless songs (so di avere scritto canzoni senza tempo).» Come non essere d’accordo ascoltando “Living can be easy” o “What matters isn’t easy”. “Easy” come non è certo stata la vita di Greaney che tra il 1997 ed il 1999 ha perso padre, donne e la battaglia con l’alcool. “Easy” come non è certo un carattere(“I’m a slag”, si definisce su FB) che, dopo due settimane di lavoro, ha portato Micky a mandare al diavolo Leckie ed il più che probabile successo. «Lui mi vedeva come una copia di Richard Ashcroft o Thom Yorke ma io non volevo quello. Non ero me stesso e non avevo niente di buono da dire.» Per scrivere, infatti, canzoni che fanno innamorare per la loro verità Micky ha bisogno di essere veramente innamorato. Anche infelice, ma innamorato. Lo dimostra “Stay”, ascoltata il 10 dicembre 2010 da Roberto Dell’Era, il bassista degli Afterhours, all’Espace Populaire di Aosta in un’interpretazione unplugged lancinante. Roberto, quando l’aveva ascoltata la prima volta da Greaney aveva pianto, in molti all’Espace ci sono andati molto vicino.