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SOCIETA' Teatro

Il lato oscuro dell’Italia del terzo millennio messo a nudo in “MADE IN ITALY”

Dopo Coca Cola e VISA, il marchio “Made in Italy” è il terzo al mondo per notorietà. A lungo simbolo di qualità, creatività ed accuratezza dei prodotti, ha con gli anni finito per associarsi agli aspetti negativi del nostro paese. Un “lato oscuro” spesso e volentieri messo alla berlina dagli osservatori esterni, quanto rimosso dalla maggioranza degli italiani, talmente assuefatti da non accorgersene. Salvo, poi, farne oggetto di chiacchiere qualunquiste da bar. Da queste sono partiti Valeria Raimondi e Enrico Castellani, di Babilonia Teatri, per confezionare lo spettacolo “Made in Italy”, andato in scena il 13 febbraio dal Teatro Giacosa di Aosta. Come in un gigantesco “blob”, i due hanno accumulato in lunghi elenchi pregiudizi, luoghi comuni, volgarità e ipocrisie dell’Italia del terzo millennio. Con un occhio particolare per quella del Nord Est, da cui provengono. “Dio can, porco dio, dio can”. “Schei e osei, finké ghiné ciapéi”. “Marocchini merda”. “Coparli co naplam”, e via discorrendo. Playlist, ripetute spesso all’unisono, che, concentrandole in pochi minuti, fanno scattare la consapevolezza del mare di contraddizioni in cui siamo immersi, andando “dalla pelle al cuore”, come recita la canzone di Venditti che accompagna una scena. «Con il nostro teatro– hanno spiegato- facciamo una fotografia: scegliamo il punto di vista, l’angolatura, ma non vogliamo giudicare. E l’accumulo nasce proprio dalla volontà di non giudicare. C’è uno sguardo etico, non “politico”, in cui la parola ripetuta senza recitazione è consegnata agli spettatori in modo che siano loro a dargli un proprio senso componendo il puzzle.» Accanto all’accumulo, l’altro meccanismo usato dai due attori-autori è lo “spostamento”. Come nella sconcertante cronaca televisiva dei funerali di Pavarotti, che, sganciata dalle immagini, risalta in tutto il suo grottesco cinismo da evento mediatico che deve rendere spettacolo anche il dolore e la morte. La spietata “messa a nudo” della società si riflette anche nell’allestimento: dall’iniziale nudo adamitico dei due attori alla scarna scenografia in cui si muovono anche una “bikinata” deejay ed un corpulento tuttofare. L’esplosiva carica dissacrante del lavoro gli è valso entusiastiche critiche e numerosi premi: dal “Premio Scenario 2007″ al “Premio Vertigine 2010”. Ad Aosta è stato fortissimamente voluto da Valeriano Gialli che l’ha inserito nella rassegna “Scenario Sensibile 10” che organizza con il suo “Evers Teatro”. «E’ lo spettacolo che ha avuto più successo tra quelli proposti dai gruppi nati nell’ultimo decennio– sottolinea- E’ stato un pò come se Lutero entrasse in Vaticano, perché ha rotto in maniera dirompente i meccanismi del teatro accademico. Ha una forte carica critica verso la società, ma, più che politico, è uno spettacolo filosofico che parla del nostro modo di porci in essa, prendendo spunto dalla condizione degli ultimi anni del Veneto, da cui vengono gli attori, il cui grandissimo sviluppo economico ha nascosto una serie infinita di bluff mentali

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