Un sentimento di morte aleggia sempre più spesso nelle uscite pubbliche di Paolo Villaggio. Anche le più innocue e disimpegnate, come la presentazione del suo libro “La vera storia di Carlo Martello” avvenuta il 25 aprile nel tendone montato in Piazza Chanoux, ad Aosta, per la terza edizione di “Babel”. Anche in questa occasione si è trattato di un lucroso pretesto (del libro ha solo accennato, lasciando inoperoso l’intervistatore Arnaldo Colasanti) per mettere in scena la sua annosa paranoia della morte, appena celata dall’abbigliamento estroso (giacca rosa e gonna mediorientale) e dal cinico umorismo. Come quando ha raccontato l’episodio successogli la mattina all’aeroporto, dove, per scherzare, ad un’hostess aveva detto di essere nato il 30-12-1912, e, lei, aveva trascritto la data senza batter ciglio.
Non è centenario, ma il 30 dicembre di quest’anno compirà ottant’anni. E “ricco di solitudine vera”, come scriveva il suo amico Gassman, se li sente tutti. Al punto che è un bel po’ di anni che fa un “sopralluogo emotivo” della morte per esorcizzarne la paura. Già nel 2002 , per esempio, aveva annunciato che sarebbe morto il 12 dicembre nella sua casa di Bonifacio, in Corsica (salvo, poi, giustificarsi, che «me l’aveva predetta una vecchina. Era una stronzata che mi è sfuggita di mano»). Ecco, ancora, la dichiarata invidia per i grandi funerali degli illustri amici: De Andrè, Gassman e Sordi. «Sono un appassionato di commemorazioni e funerali», ha ribadito Villaggio ad Aosta. Mostrando simpatia per le vedove, che pensava numerose tra l’attempato uditorio («sono le uniche che vanno a teatro e leggono i libri»). Concludendo, al momento del commiato, che «tanto, ormai, sono le ultime occasioni di vedermi lucido».
Il problema è che lui si sente fuori posto in un mondo in cui «la libertà è stata distrutta dalla televisione che ha imposto lo stesso modo di parlare e vestire…manca la libertà di essere diversi». Dove «i giovani sono invisibili e si parla di loro solo quando fanno cose brutte.» Dove la sua «Genova è una città di
una tristezza mortale.» Dove perfino il suo Fantozzi «che non era disperato quanto, piuttosto, rassegnato a non essere competitivo, adesso lo sarebbe. Almeno prima aveva il posto fisso.»
Un tragico Savonarola, Villaggio, che fa sempre più fatica ad indossare la maschera comica che il pubblico, in gran parte televisivo, accorso ad Aosta si aspettava. L’arte di far ridere la conosce, comunque, ancora. Lo ha dimostrato con qualche battuta e “ricordo melenso” (di De Andrè, Berlusconi, Costanzo) e, soprattutto, dissertando sulle sue regole immutabili. «I comici si comportano tutti come bambini tonti, perché al pubblico piace ricordare quello che è il periodo più felice della vita. Anche per questo non hanno diritto alla sessualità. Anche nella vita privata. Walter Chiari, per esempio, che aveva la fama di uno che scopava molto, ha avuto meno successo di altri, che, forse, valevano meno ma sapevano nascondere le loro storie.»