“Dunque ci sei? Dritto dall’animo ancora socchiuso? La rete aveva solo un buco, e tu proprio da lì? Non c’è fine al mio stupore, al mio tacerlo. Ascolta come mi batte forte il tuo cuore.” Lo scorso febbraio bastò che Roberto Saviano leggesse a “Che tempo che fa” questi versi di “Ogni caso”, che i libri della poetessa polacca Wisława Szymborska (Kórnik 2 luglio 1923) si ritrovassero best sellers. Ottocento copie di “Gioia di vivere” andarono immediatamente a ruba su Amazon e, in breve tempo, Adelphi ne esaurì due ristampe da 15 mila copie.
A smentire le perplessità sull’interesse del pubblico per la poesia che Szymborska aveva ironicamente avanzato nella poesia “Ad alcuni piace la poesia”: “ad alcuni-
cioè non a tutti. E neppure alla maggioranza, ma alla minoranza. Senza contare le scuole, dove è un obbligo, e i poeti stessi,
ce ne saranno forse due su mille.” L’exploit non era, in realtà, nuovo per la poetessa, visto che, in Polonia, la sua raccolta “Dwukropek (Due punti)” nel 2005 aveva venduto oltre quarantamila copie in meno di due mesi.
All’apprezzamento popolare, dovuto a versi che “si capiscono bene e fanno stare meglio”, si sono, negli anni, affiancati i riconoscimenti ufficiali. A cominciare dal Premio Nobel per la letteratura, vinto nel 1996 «per una poesia che, con ironica precisione, permette al contesto storico e biologico di venire alla luce in frammenti d’umana realtà».
“Miei segni particolari: incanto e disperazione”, si descrisse nella poesia “Il Cielo”. «E’ una confessione sul mio rapporto col mondo.– spiegò in una rara intervista- Mondo che è meraviglioso, abbagliante, ma che, al tempo stesso, ingenera la disperazione di non riuscire a capirlo. Vorrei che il lettore vedesse l’avventura della vita che ci è data come una cosa straordinaria, che provoca uno stupore assoluto. Mi sembra che il ruolo essenziale della poesia sia di parlare di ciò che stupisce.» Morta a Cracovia il 1° febbraio 2012, la Szymborska ha voluto che ad accompagnarla nell’ultimo saluto, a Varsavia, fossero le canzoni di Ella Fitzgerald.
RINGRAZIAMENTO
Devo molto a quelli che non amo. Il sollievo con cui accetto che siano più vicini a un altro.
La gioia di non essere io il lupo dei loro agnelli.
Mi sento in pace con loro e in libertà con loro, e questo l’amore non può darlo, né riesce a toglierlo.
Non li aspetto dalla porta alla finestra.
Paziente quasi come un orologio solare, capisco ciò che l’amore non capisce, perdono ciò che l’amore non perdonerebbe mai.
Da un incontro a una lettera passa non un’eternità, ma solo qualche giorno o settimana.
I viaggi con loro vanno sempre bene, i concerti sono ascoltati fino in fondo, le cattedrali visitate, i paesaggi nitidi.
E quando ci separano sette monti e fiumi, sono monti e fiumi che si trovano in ogni atlante.
E’ merito loro se vivo in tre dimensioni, in uno spazio non lirico e non retorico, con un orizzonte vero, perchè mobile.
Loro stessi non sanno quanto portano nelle mani vuote.
“Non devo loro nulla” -
direbbe l’amore
su questa questione aperta.