Quando si ascoltano personaggi come Gino Castaldo viene, inevitabilmente, in mente il detto “parla come un libro stampato”. Ne ho avuto una conferma il 3 giugno, quando ho incontrato il celebre critico musicale di “Repubblica” prima della cerimonia di consegna, al Teatro Romano di Aosta, del terzo Premio Mogol, di cui era uno dei membri della giuria. Punto di partenza della nostra chiaccherata è stato, proprio, un suo interessantissimo libro del 2008: “Il buio, il fuoco, il desiderio. Ode in morte della musica”. «E’ stato un atto di libertà.- mi ha spiegato- Mi sono permesso il lusso di scrivere un libro di riflessione filosofica sulla musica che nasce dal timore che, sotto un’apparente vitalità, la musica che conosciamo stia morendo. E’ quanto è sicuramente successo allo spirito di avventura che la caratterizzava quando noi, pionieri del giornalismo musicale, abbiamo iniziato a fare questo mestiere. Ho cominciato a lavorare a 21 anni, con un “pezzone” sul jazz d’avanguardia che “Musica Jazz”, cui l’avevo spedito, mi pubblicò. Erano altri tempi, e capitava, come mi è successo con “Repubblica”, che fossero i giornali a chiamarti. Adesso il mestiere è molto cambiato, diventando troppo spesso routine.»
Nel libro scrivi che le più belle canzoni di tutti i tempi sono tutte canzoni del desiderio, lo ritrovi anche nelle cinque canzoni finaliste del Premio Mogol? «Mi riferivo ai capolavori del passato, queste sono canzoni oneste che, però, non so se rimarranno nella storia della canzone. Alcune sono originali, come “U Cuntu” di Battiato che abbiamo inserito per dare un’idea dei possibili diversi tipi di canzone. La canzone può e deve parlare di tutto, senza pudori. Invece, a causa dei talent show, che stanno imponendo un’immagine omologata della canzone, siamo in un momento di grande restaurazione.» E la follia? Hai scritto che le canzoni migliori nascono dalla follia, è così anche in questo premio? «In quasi tutti i protagonisti di quest’anno c’è una vena di follia: Bennato vive in un suo stato mentale particolare, Cristicchi (che ha vinto ex aequo con Bennato: n.d.r.) ha lavorato nei manicomi, e anche in Arisa c’è quella leggera follia che ci deve essere nella creatività.» In molti articoli ed in libri come “La Terra Promessa. Quarant’anni di cultura rock” hai messo il relazione la musica pop con la realtà sociale in cui è nata, è un nesso importante per le canzoni? «Secondo me la canzone non deve essere impegnata come si intendeva una volta, bensì consapevole, cioè deve conservare, anche quando parla d’amore, la consapevolezza del mondo che ci circonda.» Come giudichi il Premio Mogol? «Mi piace l’idea che ha avuto Giulio (Giulio Mogol Rapetti:n.d.r.). In Italia abbiamo questo patrimonio enorme rappresentato dalla canzone, che non ha, però, né riconoscimenti né luoghi dove possa essere vissuta come merita. Questa organizzata dalla Valle d’Aosta, che mette, in particolare, l’accento sui testi, è, quindi, un’iniziativa meritoria.»
E’ il nome che mi ha stupito di piu’ in quel ricettacolo di morte e favori che era il Premio Mogol.
Credevo non si sarebbe abbassato a questa passerella perchè lo stimo per il passato..un Bertoncelli avrebbe avuto piu’ senso forse.
Già il suo livretto su Woodstock mi aveva deluso,un compitino copiato e incollato da internet,con poca ricerca e dati incerti.
Purtroppo i Baroni esistono ovynque.
Perchè per limpidezza verso chi vi segue non mettere i compensi che sono stati dati ai cantanti,ma soptattutto ai giudici?…quelli veri naturalmente….
Grazie dello spazio
danilo antonio jans
critico musicale non allineato