La musica rap e reggae ha caratterizzato, il 21 agosto, il quarto appuntamento del “Little City Contest”. In gara i valdostani Mene, Kanyo, “Rif” e “Altroquando” che si sono sfidati sul palco della Cittadella dei Giovani di Aosta davanti una giuria ed un pubblico giovanile non molto numeroso né, nonostante gli sforzi e i ripetuti inviti dei musicisti, particolarmente partecipe. A chiudere la serata, come ospite d’onore, è stato uno dei maestri dei rapper aostani. Di fatto ma, anche di nome, visto che il trentasettenne milanese Davide Bassi si è creato un posto di rilievo nella scena hip hop italiana con il soprannome di Bassi Maestro. Uno della “vecchia scuola”, che scrive rime “dai tempi dei paninari al burghi” e che la sua maestria ha ribadito con un set “vivo e vero” (come il titolo del suo ultimo EP).
Perchè “Maestro”?, gli abbiamo chiesto. «Quando, nei primi anni ’90, ho iniziato– ha risposto- nell’hip hop era di moda atteggiarsi a Maestri. Adesso lo tengo un pò per ironia un pò perché ho accumulata tanta esperienza che metto a disposizione di chi vuole imparare qualcosa su questa musica.» Un “Maestro” sui generis. “Io non insegno- rappa in “Vivo e Vero”- io outsegno, fuori dal coro…reinvento il nesso che è andato perso”. «Cerco di farlo da tanti anni– ha spiegato- anche perché questa è una musica che esprime più verità di altri generi più di intrattenimento. Sia che usi parole impegnate che ironiche o, addirittura, stupide, ha sempre un messaggio. Purtroppo l’Italia è l’unico paese al mondo dove dell’hip hop è venuta fuori solo una sfaccettatura
mediatica. Da noi non ha sfondato perché, per quanto “tamarro” possa essere, ha sempre dietro una cultura e raffinatezze che non sono dell’italiano che è legato alla tradizione e a cose più spensierate e divertenti.» Non sono, indubbiamente, molti i “valdostani medi” (per citare l’hit di Mene) capaci di apprezzare la sua “musica complicata”, che “non riesci a rilassarti t’incasina la giornata”. Né, tantomeno, a mettersi in gioco ascoltando frasi del tipo: “è tempo di ridarti un contegno e di levarti la collana di plastica perché sembri un coglione”. Inevitabile, quindi, che per questi il rapper milanese rimanga uno “che rima col microfono in una mano e col cazzo nell’altra mano”. Perchè in un tuo pezzo, “Hate”, hai, addirittura, fatto l’elogio dell’odio? «Ci sono vari tipi d’odio, io parlo di quello a livello artistico che ritengo creativo perché fa reagire le persone e “spinge dove può fino a quando l’uomo uccide la sua vanità”.» Qual’è attualmente lo stato di salute dell’hip hop? «E’ stata la musica più rivoluzionaria degli ultimi 30 anni, quella che ha cambiato le regole del come si vive la musica. Adesso, però, a livello di creatività ha fatto il suo tempo. E’ come rappo in un mio testo: “prima c’era chi copiava, adesso copia e incolla”. Le ultime generazioni si stanno sempre più conformando perché hanno perso l’idea originaria dell’hip hop che si distacca dalla massa per diventare, invece, di moda e, quindi, cultura di massa.»