Avrà smesso, come canta in una canzone, di credere alle favole, ma almeno ai sogni il trentatreenne aretino Lorenzo Cilembrini, in arte Il Cile (abbreviazione del cognome con cui veniva chiamato a scuola), continua a credere. Il 6 febbraio, per esempio, ha approfittato del concerto al Teatro Splendor di Aosta per coronare il sogno giovanile di conoscerla.
Molti sogni, musicali, invece, li ha realizzati in fretta, dopo il debutto, avvenuto nel 2012, con il singolo “Cemento armato”. Dalle aperture dei concerti di Ben Harper, Jovanotti e Ligabue, al successo di “Siamo morti a vent’anni”, dalla partecipazione al Festival di Sanremo 2013 con “Le parole non servono più” (Premio Sergio Bardotti per il testo) alla consacrazione, nel 2014, con l’album “In Cile veritas”.
«Grazie alla mia famiglia ho avuto un precoce imprinting cantautorale. -ha raccontato prima del concerto aostano- Nell’adolescenza l’ho unito ad una passione smisurata per la parola, scrivendo le prime canzoni, con testi a volte estrapolati da miei scritti in prosa.»
C’è riuscito talmente bene che è riuscito, come pochi, a dare voce al “presente precario “ ed al “cuore affamato” dell’attuale “tribù che traballa”. «Ho sempre cercato di stabilire un contatto empatico tra l’io soggettivo e l’oggettivo della mia generazione. Perché, facendo cadere, attraverso il racconto di vicende personali, la barriera dell’affettività, che il quotidiano ci porta a tenere alzata per protezione, possiamo vedere la società che ci circonda con un’ottica differente.»
Canti di essere “la lametta che apre in due la canzone italiana”, ma i modelli che citi sono soprattutto cantautori storici, in particolare De Andrè. Non è che, parafrasando una tua canzone, finisci per parlare di cose passate “perché quelle in vita sono troppo noiose”? «Nei giovani c’è un sentimento quasi ormonale di ribellione che spesso non ritrovano nei testi intimisti e criptici di molti cantautori attuali. Uno dei motivi per cui mi trovo molto bene coi rapper, da Club Dogo a J-Ax, è perché riescono ad arrivare ai giovani parlando della realtà con un linguaggio che capiscono.»
E in te c’è il lato selvaggio che caratterizza questo nuovo cantautorato di strada? «Credo di sì. E’ connesso al fatto che spesso mette a nudo debolezze e vizi, che siano l’evasione alcoolica o il desiderio di autodistruzione più o meno velato, attraverso i quali molti sono passati. L’importante è non rimanerci incastrati.»
Accompagnato da Riccardo Presentini (chitarra solista), Andrea Squarcialupi (batteria), Nicola Pasquini (basso) e Marco Faralli (tastiere), sul palco dello Spendor Lorenzo ha sciorinato gran parte del suo repertorio, mettendo in mostra una vocalità accattivante e la chiarezza d’intenti compositivi che lo rende uno di quelli “che sa la virtù magica” di scrivere canzoni popolari ma non banali.Come il successo estivo “Sole cuore alta gradazione”, che nel bis ha cantato con le parole ed il titolo originario “Sole cuore autodistruzione”.
La ragazza del l’inferno accanto
Sono morto a vent’anni
Mary Jane
L’amore è un suicidio
Baron Samedi
Tamigi
Un’altra aurora
Parlano di te
Ascoltando i tuoi passi
Le parole non servono più
Tu che avrai di più
Liberi di vivere
Vorrei chiederti
Tu sapevi di me
I tuoi pugnali
La tortura medioevale
Il mio incantesimo
La lametta
Cemento armato
BIS
Sole cuore autodistruzione