La sera del 4 febbraio il “pianista di Yarmouk” Aeham Ahmad si è esibito al Teatro Splendor di Aosta per la Saison Culturelle. Come nelle altre date italiane il ventisettenne musicista siro-palestinese ha affiancato alla tradizione mediorientale musiche classiche europee, con medley di celeberrimi temi di Mozart e Beethoven (“amo Beethoven,- ha detto- un rivoluzionario che univa la tecnica al romanticismo”). Filoni che ha fuso in modo originale nelle 16 tracce del suo primo album , “Music for Hope”, pubblicato nell’agosto 2016. Il momento più coinvolgente della serata è stato quando ha trascinato il pubblico dello Splendor a cantare con lui la canzone che nei video presenti su YouTube, aveva interpretato, in una Damasco spettrale, con un coro di bambini. “Se Trump suonasse il piano– ha detto sul palco- non ci sarebbe la guerra in Siria“.AEHAM AHMAD RACCONTA LA SUA STORIA
“Il mio nome è Ahmad e vengo dalla Siria.- ha raccontato- Ho raggiunto la Germania attraverso la rotta balcanica, come altri milioni di profughi. Suono il piano, amo la musica, ma non sono un pianista. Nel 2012 è arrivata la guerra nel campo di Yarmouk (campo profughi palestinese a sud di Damasco:n.d.r.), ma io ho deciso di rimanere e continuare a suonare. Ho preso il mio pianoforte e l’ho portato per la strada.Dopo 2 o 3 volte che suonavo sono cominciate ad arrivare delle persone intorno a me. I bambini cantavano e toccavano il piano, e questa è stata la migliore dimostrazione di bellezza contro chi vuole la guerra.Un giorno gli uomini dell’Isis sono venuti da me e mi hanno detto che non potevo più suonare fuori perché era proibito. Io gli ho chiesto perché? E loro, senza neanche rispondere, hanno dato fuoco al pianoforte. Ormai non era più sicuro vivere a Yarmouk. Mia madre mi disse: “Prendi i soldi e vattene.”
Sono partito da Damasco ed ho raggiunto il confine turco in modo illegale, perché io non ho passaporto. Non sono siriano, non sono palestinese, sono solo un profugo. Ho pagato altri soldi e sono arrivato in Grecia, insieme ad altre migliaia di profughi. Sono stati giorni terribili, e penso spesso alle persone morte in mare. Ogni volta che chiudo gli occhi vedo i loro corpi fluttuare nell’acqua. Perché?, mi chiedo. Voi parlate di diritti umani, io parlo di diritti umani, tutti parlano di diritti umani in Europa, ma bisogna aiutare le persone, non costruire muri. Attraversando la foresta, intorno ad un albero ho visto tre ragazze ed un ragazzo, tutti piccoli, morti per il freddo perché avevano sbagliato strada. Poi ho visto i lupi arrivare e mordere il braccio di una delle bambine.
Quando vedi le persone morire, pensi: io sarò il prossimo. Ma se hai un sogno da raggiungere, come suonare su un grande palco, questo ti spinge ad andare oltre. La musica ha salvato me, ma non il mondo, forse.
Suonare per me è una vera terapia. Quando vedi persone morire, se sei normale rimani shockato e non dormi più, con la musica riesci a liberarti da tutto questo. Oggi casa è dove ho un piano, è un palco. Quando io posso suonare, mia moglie e i miei figli sono con me, questa è casa. Non ho bisogno di altro, non voglio diventare ricco, ma solo cucinare falafel per la gente e suonare musica di speranza.
Il messaggio che voglio portare coi miei concerti è che la musica ha la forza di cambiare l’animo umano, di portare unità dove c’è divisione. Prima della guerra ad Aleppo e Damasco si viveva in pace, convivevano tre religioni diverse: mussulmana, ebraica e cristiana. La guerra che si è scatenata non è una guerra di religione, ma di interessi e poteri economici. Con la mia musica voglio riaccendere una speranza di pace, che, nonostante tutto, è possibile. Voglio fare qualcosa che possa viaggiare dalla nostra umanità alla vostra.”