
Per i fisarmonicisti un’esibizione di Richard Galliano è un po’ come un’apparizione della Madonna. Si spiega così il vero e proprio pellegrinaggio dei seguaci valdostani che le volte che si è esibito in Valle d’Aosta hanno affollato i suoi concerti.
Fin dalla prima volta, il 2 novembre 1995, quando fu ospite della Rassegna jazz della Biblioteca di Viale Europa coi bravissimi Furio Di Castri (contrabbasso) e Roberto Gatto (batteria).
«Mio padre era un fisarmonicista, per cui ho iniziato a suonarla ad orecchio.- mi aveva raccontato- Al Conservatorio di Nizza (dove è nato il 12 dicembre 1950) ho studiato invece il trombone, perché allora non si insegnava fisarmonica. Per due volte, a 16 e 17 anni, ho vinto i campionati mondiali di accordeon».
E’ seguito un lungo tirocinio con i grandi della canzone francese: «Ho iniziato accompagnando cantanti come Serge Reggiani, Juliette Greco, Nougaro e Montand. Negli anni Settanta era l’unico lavoro interessante che potesse fare un fisarmonicista in Francia. L’incontro con Astor Piazzolla, di cui sono diventato molto amico, mi ha, poi, spinto a realizzare un mio sogno adolescenziale: fare con la musette la stessa operazione che lui aveva fatto per il “new tango”. La musette, come il tango ed il blues, è una musica di fusione, nata in seguito all’arrivo a Parigi dei fisarmonicisti italiani. Io ho esteso le contaminazioni al jazz e ad altri influssi. Della musette mi interessa soprattutto la parte poetica che per me è stata incarnata da Edith Piaff, che paragono a Billie Holliday».
Quali sono i musicisti che ascolta di più?, chiesi. «Bill Evans, che per me è una lezione di musica continua. Mi piace molto anche Jaco Pastorius». In concerto esplorò, poi, molti mondi musicali:dal Brasil e di Hermeto Pascoal (Leo,Estante num istante) al tango di Piazzolla (“Libertango” e “Milonga del Angel”), dal pathos della sua “Spleen” a “Sous les ciels de Paris”.
Il 27 luglio 2008 fu, invece, fu ospite del XI Cervino Cinemountain all’Auditorium di Valtournenche.
«La fisarmonica- mi disse- è uno strumento da viaggio perché si può portare dappertutto. Anche in montagna. Ho fatto diversi concerti in quota al “Festival delle Dolomiti”, in Trentino, e devo dire che la montagna dà una bella ispirazione, anche solo per l’eco che ha».
Nell’occasione, nell’ultima parte del concerto, interagì con la Corale Grand Combin, diretta da Davide Sanson, in cinque arie di montagna (da “La leggenda della Grigna” a “Voici venir la nuit”). «Anche se nel mondo c’è una tradizione in questo campo, è la prima volta che suono con un coro. – precisò- Non avendo visto le partiture, ho suonato tutto ad orecchio, come si faceva una volta nella musica popolare prima ancora che nel jazz. Per farlo basta ascoltare molto attentamente e suonare in modo naturale». “Basta”, naturalmente, per un virtuoso come Galliano che nel 1966, appena sedicenne, si era laureato miglior fisarmonicista del mondo. Uno che ha cambiato la storia della fisarmonica, al punto che c’è ci la divide in “prima” e “dopo” Galliano. Come se la passa la fisarmonica nel mondo?, chiesi. «C’è una continua riscoperta del suo valore. Per me, più che uno strumento, è un’orchestra. Con lei posso fare di tutto, ma mi piace soprattutto quando suono una singola nota con dietro un’orchestra d’archi. Come faceva Piazzola con il bandoneon in quel pezzo meraviglioso che è “Oblivion”. Questa fantastica potenzialità di emozionare è legata al fatto che dietro quel suono ci sono i ricordi di tutta la gente del mondo che grazie alla fisarmonica ha riso, pianto ed amato».
Pochi mesi dopo, il 28 gennaio 2009, Galliano tornò col suo Tangaria Quartet per la Saison Culturelle.
E questa volta tra il pubblico del Teatro Giacosa di Aosta c’era il Gotha dei fisarmonicisti valdostani: da Eligio Gonthier a Silvano Butier, da Beppe Gnemaz a Mariolino Bonin. C’era, soprattutto, il decano dei fisarmonicisti valdostani, l’allora ottantanovenne Giovanni Tisseur che, grazie a me, ebbe il piacere di incontrare Galliano, rievocando con lui alcuni maestri francesi. «Fredo Gardoni? E’ stato un grande, come del resto Andrè Verchuren e Joe Rossi.– commentò Galliano- Anche se penso siano stati più importanti Gus Viseur e Tony Murena. E’ partendo da loro che ho cercato di fare con la musette la stessa operazione di modernizzazione che Piazzolla aveva fatto per il tango». Come per tutti i grandi, contaminazione per Galliano ha voluto dire evoluzione verso la personalissima musica ascoltata ad Aosta, nella quale gli stili e linguaggi usati sono stati solo un modo di esprimere il mondo che ha dentro. «Le mie composizioni sono evocative perché riflettono la vita. Per me la fisarmonica è sempre più un organo portatile con molta espressività. Anche per questo il musicista che più amo è Johann Sebastian Bach. Basta ascoltare la sua “Arte della Fuga” per capire che aveva già detto tutto trecento anni prima. E’ uno dei due musicisti che consiglio per capire la strada da seguire. L’altro è Chet Baker, un musicista molto onesto che è stato coerente per tutta la carriera, mentre, invece, uno come Miles Davis alla fine ha fatto delle cose stravaganti».

Altra figura di riferimento è sicuramente Astor Piazzolla, davanti al quale Galliano ebbe, nel 1986, l’”ardire” di suonare al bandoneon l’arrangiamento di un brano di Moustaki. «Dopo aver sentito l’introduzione mi disse: Perbacco suoni come un argentino! Ma subito si corresse: No, come un italiano. Era un grande complimento, perché lui era argentino, ma sentiva molto le radici italiane che ho anch’io. Mi disse anche che per suonare il bandoneon bisogna dividere il cervello in quattro. Ma questo vale anche per la fisarmonica, che per me è un quartetto d’archi: con la sinistra suoni contrabbasso e viola e con la destra i due violini. Come per tutti gli strumenti, comunque, l’importante è avere sempre presente che prima e sopra tutto c’è la Musica».