fbpx
Cantautori

A Les Combes di Introd, l’abbraccio d’amore di ROBERTO VECCHIONI

La prima cosa che Roberto Vecchioni ha fatto arrivando sulla spianata di Les Combes il 17 settembre è stato andare in mezzo al pubblico allargando le braccia, quasi a volerlo abbracciare. Il gesto l’ha ripetuto diverse volte durante il concerto che ha segnato il suo ritorno alla rassegna Musicastelle, a 6 anni di distanza da quello di La Thuile.

Una voglia di condivisione ribadita nel discorso di apertura. «Sarà un incontro tra voi e me, tenendo presente la parola VITA. VITA che vuol dire respirare, muoversi, agire, incontrarsi, abbracciarsi. VITA, che vuol dire non aver paura del destino, non aver paura di niente. Combattere per un futuro che possa essere più godibile. E in tutte le canzoni che canteremo oggi VITA vuol dire anche AMORE, amore per tutto quello che c’è intorno. Tutti gli amori possibili».

La prima canzone è stata, infatti, “Ti insegnerò a volare”, dedicata ad Alex Zanardi, registrata, con Francesco Guccini, per il suo ultimo album “L’infinito” del 2018. «L’Infinito è una grande metafora per dire che anche il più disamorato della vita, in realtà la ama.– mi aveva spiegato prima del concerto- Nonostante il suo pessimismo cosmico, è successo anche a Leopardi negli ultimi anni vissuti a Napoli. Per cui nella canzone “L’infinito” ho messo insieme due lettere che Leopardi aveva mandato al papà Monaldo: una tre anni prima di morire, in cui descriveva i napoletani come ladri e pezzenti che vivevano in un paese semi-barbaro, ed una l’anno dopo in cui aveva cambiato idea. Leopardi era anche un grande filosofo, un pensatore estremamente preciso e razionale, qualità che, stranamente, si associavano all’essere un grande Poeta. Era una coscienza ipertrofica, un pò come sono io. A me ogni mezz’ora viene un pensiero strano sul mondo, e non mi accontento mai della prima risposta. Grazie alle canzoni riesco a volte a liberamente, perché l’unica soluzione è dare tutto quello che si ha dentro, anche a rischio di essere retorico. Perchè se si tiene tutto dentro si rischia di morire prima».

Vecchioni è uno dei padri storici della canzone d’autore italiana. Nell’oltre mezzo secolo di carriera ha saputo conciliare qualità e popolarità, divenendo l’unico artista italiano ad aver vinto il Premio Tenco, il Festivalbar ed il Festival di Sanremo. Giocando da sempre con le parole è arrivato ad essere candidato, nel 2013, al Premio Nobel per la letteratura insieme a Bob Dylan e Leonard Cohen. Alla parola ha dedicato anche una delle canzoni dell’ultimo album.

«Purtroppo è un’elegia sulla morte della parola. E’ un fenomeno iniziato alla fine degli anni Novanta, preoccupante per i pochi che ancora ci credono, mentre per gli altri ci sono ormai altri tipi di comunicazione. I ragazzi, per esempio, hanno una comunicazione quasi robotica, e parlano pochissimo con un vocabolario striminzito».

Ai 1300 metri di Les Combes di Introd, il villaggio reso famoso dai soggiorni estivi dei Papi (per dieci anni Giovanni Paolo II e per due Benedetto XVI), Vecchioni ha, naturalmente, cantato anche una selezione dei suoi successi (da “Chiamami ancora amore” a “Samarcanda”), accompagnato dai suoi storici collaboratori: Massimo Germini (chitarre) e Lucio Fabbri (chitarre, violino e mandolino).

«Il concerto ha la stessa veste acustica scelta con Lucio e Massimo fin dal disco precedente, perché abbiamo capito che la cosa importante è la narrazione, che non va riempita di particolari effetti».

Lucio FABBRI

Accanto al tanto Amore, nelle canzoni del Professore si parla spesso della Morte. «C’è in quasi tutte le mie canzoni: da “Vincent” a “La viola d’inverno”, e, naturalmente, in “Samarcanda”. L’ho affrontata, però, sempre senza disperazione, come qualcosa che può arrivare ma solo dopo che si è fatto tutto quello che si poteva e doveva fare. C’è una frase bellissima nel “Prometeo” di Eschilo, in cui al Corifeo dice: “Io ho tolto agli uomini la paura della Morte ed ho messo nei loro cuori speranze cieche”. Donando agli uomini l’Arte, che ci differenzia dagli animali, si accendono speranze che non ci fanno pensare che l’unica certezza della nostra vita è che dobbiamo morire».

Massimo GERMINI
SCALETTA A LES COMBES (AO)

Rispondi

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: