“Sërpënt faous (brutto serpente)” avrebbe detto bar (zio in patois) Tricot se avesse letto “L’equilibrio delle lucciole”, il romanzo d’esordio di Valeria Tron. Come, nel libro, fa quando sente di avere una grande storia tra le mani. Lui che è un calderone ribollente di storie. Lui che sa che una storia vale e rimane solamente se ci sono: “un oratore, una buona dose di dettagli, ritmo e la curiosità dell’uditorio”. Sostituendo ad “oratore” “scrittore” è la stessa ricetta che rende avvincente la lettura del libro della Tron.
Pubblicato il 1° giugno da Salani Editore, è stato presentato con crescente successo in mezza Italia: da Torino a Catanzaro, dal Lago di Garda a Cesena, da Milano a Reggio Calabria. Per non parlare delle trasmissioni radio e televisive in cui Valeria è comparsa. Il risultato è stato che dopo tre mesi “L’equilibrio delle lucciole” è andato in ristampa.
L’onda lunga del suo successo fa sì torni ad essere presentato in Valle d’Aosta: sabato 5 novembre, alle 18.30, nella Sala Consiliare del Comune di Gignod, e domenica 6 novembre, sempre alle 18.30, a Maison Gargantua di Gressan. Ingresso in entrambi i casi libero. Questa volta dialogheranno con la scrittrice Gaetano Lo Presti e Maura Susanna.
E’ proprio grazie alla cantautrice di Saint-Vincent ed al giro dei musicisti di Patoué eun mezeucca, che Valeria considera la Valle d’Aosta la sua «seconda casa affettiva e linguistica».
Cantautrice, la quarantunenne originaria della Val Germanasca ha scritto in patois le canzoni del cd “Leve les yeux” che l’hanno portata in finale al Premio Tenco ed a vincere, nel 2015, il Concorso internazionale per la musica d’autore della Scuola CPM di Milano.
Il patois e la musica sono ben presenti anche in un libro, come “L’equilibrio delle lucciole”, che è stato scritto «con la bussola puntata sulla musicalità ed il suono sia del patois che dell’italiano». «Il patois è una lingua che parla per immagini.– spiega l’autrice- Ed è una lingua tonale, la cui musicalità permette di parlare e sentire la nostra terra. Anche perché la musica è radicata della nostra terra più degli alberi. È congiunzione tra noi che siamo qua e qualcosa in cui speriamo». Per esorcizzare paure e diffidenze, il patois è usato con parsimonia e gradualità, diventando comprensibilissimo all’interno del fluire di un racconto ambientato ad Aigo, un pugno di case in pietra tra le montagne aspre della Val Germanasca.
“Ogni punto di partenza ha bisogno di un ritorno”, per cui Adelaide vi fa ritorno per consolarsi della fine del matrimonio con Edo e fare “la muta al cuore”. Torna, così, dove aveva trascorso una fetta della sua vita insieme alla nonna Memè ed alle “dando” (zie) Lena, Irma e Nanà. Ed è proprio l’ormai novantenne Nanà, ultima custode della Meizoun (Casa), che le apre uno sgabuzzino della memoria dove scopre intrecci e storie insospettate e insospettabili. Facendole capire che le “solite cose” sono anche “solide cose”, e che la fiamma della sua vecchia poutagìe si può mantenere accesa solo vigilando senza impigrirsi.
Lo stile di Valeria,“lëgiè e fort coum l’aigo (leggero e forte come l’acqua)”, avvince il lettore del romanzo, finendo per fargli chiedere, come faceva il pubblico che ascoltava i racconti di bar Tricot: «E poi? E poi?».
«Due sono gli equilibri che occorrono: quello naturale e quello intuitivo.- spiega Valeria- Il primo è la costante rigida intorno alla quale tutto muove: le stagioni, l’erba, gli uomini, i campi. Il secondo credo sia nella capacità di ricredersi per raccontare con occhi nuovi il tempo delle piccole cose. Negli anni Settanta Pasolini scrisse un saggio, “La scomparsa delle lucciole”, nel quale intendeva per “lucciole” quelle culture ancorate alla terra, pre-globalizzate, delle quali l’autore lamentava la scomparsa. Quindi, forse, il mio libro è anche un modo per sottolineare la necessità di cercare un equilibro tra un mondo vorace, frettoloso e omologante come quello in cui viviamo e queste piccole culture ancora aggrappate al loro spicchio di terra».
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